Con l'espressione Cosa nostra si è soliti indicare un'organizzazione criminale di stampo mafioso presente in Sicilia dagli inizi del XIX secolo, e trasformatasi nella seconda metà del '900 in una organizzazione internazionale.
In Sicilia il fenomeno è stato pesantemente arginato negli ultimi anni che sebbene abbia portato un radicale ridimensionamento di Cosanostra ne ha determinato un'evoluzione frammentaria e molto più indebolita che prende oggi il termine di Stidda,prevalente nelle provincie di Agrigento,Enna e Caltanissetta in primo luogo. Gli interventi dello Stato,che spesso però ha trascurato,anche volutamente il problema hanno contribuito in maniera determinante al ridimensionamento del fenomeno.In questo senso capitolo a parte fanno i giudici-magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino,i quali lasciati soli dello Stato e rimettendoci la vita hanno distrutto il cuore di Cosanostra,che sembra sventrata con il recente arresto di Bernardo Provenzano ad opera della Procura Antimafia di Palermo ma non debellata visto che sta subendo l'evoluzione in Stidda(molto più debole e molto meno pericolosa ma pursempre di stampo mafioso). Negli anni '90 la Sicilia come Campania e Puglia venne militarizzata allo scopo di mobilitare la società civile,che ebbe i suoi risultati riscontrabili molto di più oggi avviando un processo di evoluzione ancora in atto e ad oggi in pieno e felice sviluppo nella nuova generazione.La sua origine è tradizionalmente messa in relazione all'antico fenomeno del brigantaggio, tuttavia è doveroso precisare che tale asserzione è poco condivisa; buona parte degli studiosi ritiene di retrodatare il fenomeno al XVI secolo, quando in varie parti d'Italia si erano formate congregazioni paracriminali sul tipo di quella citata dal Alessandro Manzoni, (I bravi e Don Rodrigo), nel suo capolavoro "I promessi sposi".
È costituita da un sistema di gruppi, chiamati famiglie, organizzati al loro interno sulla base di un rigido sistema gerarchico composto da gregari di diverso livello detti picciotti e da un capo detto padrino. Con il termine, "Cosa nostra", oggi ci si riferisce esclusivamente alla mafia siciliana (anche per indicare le sue ramificazioni internazionali, specie negli Stati Uniti d'America), per distinguerla dalle altre, internazionali, genericamente indicate col termine di "mafie".
Le origini
"Cosa nostra" nacque nei primi anni del XIX secolo dal ceto sociale dei massari, dei fattori e dei gabellotti che gestivano quotidianamente i terreni della nobiltà siciliana e i braccianti che vi lavoravano. Era gente violenta, che faceva da intermediario fra gli ultimi proprietari feudali e gli ultimi servi della gleba d'Europa e per meglio esercitare il loro mestiere si circondavano di scagnozzi prezzolati. Questi gruppi divennero rapidamente permanenti assumendo il nome di "sette, confraternite, cosche": il primo documento storico in cui viene nominata una cosca mafiosa è del 1837, dove il procuratore generale di Trapani, Pietro Calà Ulloa, riferisce ai suoi superiori a Napoli dell'attività di strane sette dedite ad imprese criminose che corrompevano anche impiegati pubblici. Nel 1863 Giuseppe Rizzotto scrive, con la collaborazione del maestro elementare Gaetano Mosca, I mafiusi de la Vicaria, un'opera teatrale in siciliano ambientata nelle Grandi Prigioni del capoluogo siciliano. È a partire da questo dramma, che ebbe grande successo e venne tradotto in italiano, napoletano e meneghino, che il termine mafia venne diffuso su tutto il territorio nazionale. Fin da allora la mafia si caratterizzava come una struttura al di fuori dello stato, ma strettamente legata ad esso.
Con l'unità d'Italia nella Sicilia della seconda metà del XIX secolo si accelerò il processo, già iniziato in precedenza, di smantellamento della struttura feudale ancora esistente nelle zone rurali e nelle campagne. Questo avvenne quando l'economia siciliana fu integrata in quella del resto del paese. Il governo piemontese inoltre si sostituì alla struttura sociale siciliana, fino a quel momento rigidamente divisa, senza però riuscire ad instaurare con essa un rapporto positivo. Se a questo si somma la necessità dei grossi latifondisti dell'interno dell'isola di affidarsi all'aiuto di qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo e totale sulle proprietà e che se i possidenti non sentivano tale necessità, Cosa nostra si prodigava nel rendergliela evidente, ecco che si spiega come mai la Mafia fu involontariamente favorita dal Risorgimento italiano. C'è altresì da considerare come lo Stato Piemontese, non riuscendosi a garantire un controllo diretto e stabile del governo dell'isola (la cui organizzazione sociale era fin troppo differente da quella settentrionale), cominciò a fare affidamento delle cosche mafiose, le quali, ben conoscendo i meccanismi locali, facilmente presero le veci del governo centrale.Fu nel 1893, con il celebre delitto Notarbartolo, che l'esistenza di Cosa nostra (e dei suoi rapporti con la politica) divenne nota in tutta Italia.
Anni 1990
Giovanni Trecroci (7 febbraio 1990), vice-sindaco di Villa San Giovanni
Emanuele Piazza (16 marzo 1990), agente di polizia
Giuseppe Miano (18 marzo 1990), mafioso pentito
Giovanni Bonsignore, (9 maggio 1990), funzionario della Regione Siciliana
Rosario Livatino (21 settembre 1990), giudice
Nicolò Di Marco (21 febbraio 1991),geometra comune di Misterbianco (CT)
Sergio Compagnini (5 marzo 1991), imprenditore
Antonino Scopelliti (9 agosto 1991), giudice
Libero Grassi (29 agosto 1991), imprenditore attivo nella lotta contro le tangenti alle cosche e il racket
Tobia Andreozzi (30/08/1990), ragioniere
Paolo Arena (27 settembre 1991), segretario DC di Misterbianco (CT)
Serafino Ogliastro (12 ottobre 1991), ex agente polizia di stato. Ucciso a Palermo da Salvatore Grigoli con il metodo della lupara bianca, poiché era stato nella Polizia di Stato i mafiosi di Brancaccio sospettavano fosse a conoscenza degli autori dell'omicidio di un mafioso, Filippo Quartararo. Al processo, Grigoli si autoaccusava dell'omicidio indicando altri 7 complici.
Salvo Lima (12 marzo 1992), uomo politico democristiano
Giuliano Guazzelli (14 aprile 1992), maresciallo carabinieri
Paolo Borsellino (21 aprile 1992), imprenditore ed omonimo del giudice Paolo Borsellino
Strage di Capaci (23 maggio 1992): Giovanni Falcone, magistrato; Francesca Morvillo, magistrato, moglie di Giovanni Falcone; Antonio Montinaro, agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone; Rocco Di Cillo, agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone; Vito Schifani , agente di polizia facente parte della scorta di Giovanni Falcone.
Strage di via d'Amelio (19 luglio 1992): Paolo Borsellino, magistrato; Emanuela Loi, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Walter Cusina, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Vincenzo Li Muli, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Claudio Traina, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino; Agostino Catalano, agente di polizia facente parte della scorta di Paolo Borsellino.
Rita Atria (27 luglio 1992), figlia di un mafioso, muore suicida dopo la morte di Borsellino con il quale aveva iniziato a collaborare
Giovanni Lizzio (27 luglio 1992), ispettore della Squadra Mobile
Ignazio Salvo (17 settembre 1992), esattore, condannato per associazione mafiosa
Gaetano Giordano (10 dicembre 1992), commerciante
Giuseppe Borsellino (17 dicembre 1992), imprenditore, padre di Paolo Borsellino anch'egli imprenditore ed omonimo del giudice
Beppe Alfano (8 gennaio 1993), giornalista
Strage di via dei Georgofili (27 maggio 1993): Caterina Nencioni, bambina di 50 giorni; Nadia Nencioni, bambina di 9 anni; Angela Fiume, custode dell'Accademia dei Georgofili, 36 anni; Fabrizio Nencioni, 39 anni; Dario Capolicchio, studente di architettura, 22 anni.
Pino Puglisi (15 settembre 1993), sacerdote impegnato nel recupero dei giovani reclutati da Cosa Nostra
Liliana Caruso (10 luglio 1994), moglie di Riccardo Messina, pentito
Agata Zucchero (10 luglio 1994), suocera di Riccardo Messina, pentito
Carmela Minniti (1 settembre 1995), moglie di Benedetto Santapaola, detto Nitto, boss catanese
Giuseppe Montalto (23 dicembre 1995), agente di Custodia del Carcere dell’Ucciardone
Antonio Barbera (7 settembre 1996), Tonino, giovane di Biancavilla, sfortunato figlio del popolo, massacrato a diciotto anni con una decina di colpi di pistola in testa, in un agguato in "contrada sgarro" (Catania). Gli omicidi non hanno ricevuto alcuna condanna dal processo, celebrato massimamente nell'aula bunker del carcere "Bicocca" di Catania; essi circolano spesso liberi per strada. Il processo è stato celebrato anche in Appello e Cassazione, senza che la famiglia del ragazzo venisse informata
Gaspare Stellino (12 settembre 1997), commerciante, morto suicida per non deporre contro i suoi estortori
Domenico Geraci (8 ottobre 1998), sindacalista
Filippo Basile (5 luglio 1999), funzionario della Regione Siciliana
Vincenzo Vaccaro Notte [1] 3 dicembre 1999 imprenditore di Sant'Angelo Muxaro (AG), assassinato perché non accettava condizionamenti mafiosi.
XXI secolo
Salvatore Vaccaro Notte (5 febbraio 2000), caposquadra forestale e fratello di Vincenzo, ucciso per non essersi piegato ai condizionamenti di una cosca locale meglio conosciuta come "Cosca dei Pidocchi".
Giuseppe D'Angelo (22 agosto 2006), pensionato, ucciso per sbaglio davanti a un fruttivendolo del quartiere Sferracavallo di Palermo perché scambiato per il boss Bartolomeo Spatola.
venerdì 21 novembre 2008
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