mercoledì 26 novembre 2008
venerdì 21 novembre 2008
Il rapporto tra mafia e politica
Il rapporto tra politica e mafia è certamente uno degli aspetti più inquietanti e controversi del fenomeno mafioso e della storia delle forze politiche e delle istituzioni del nostro Paese. Nonostante l'abbondante produzione di materiali sull'argomento, sotto forma di libri e servizi giornalistici di denuncia, di documenti politici, di relazioni di organi ufficiali, non possiamo dire che finora il tema sia stato adeguatamente affrontato in tutte le sue implicazioni. I concetti impiegati per designare i rapporti tra politica e mafia e viceversa sono spesso generici o inadeguati: si parla di contiguità e di coabitazione, mentre rimangono in secondo piano o restano irrisolti o neppure affrontati problemi di fondo che riguardano la definizione di mafia e la configurazione dei rapporti di dominio e subalternità così come si sono determinati nello scenario politico-istituzionale italiano. Nel tentativo di contribuire a chiarire questi temi di fondo propongo, per ragioni di ordine espositivo, un rovesciamento dei due termini. Prima affronteremo il tema dalla parte della mafia e dopo dalla parte della politica.
Dalla parte della mafia. La mafia come soggetto politico e la produzione mafiosa della politica Si è discusso se la mafia abbia una strategia politica o se intrecciando rapporti con soggetti dell'universo politico si limiti a stringere alleanze tattiche. Secondo la relazione su mafia e politica della Commissione antimafia, Cosa nostra, che rappresenta il gruppo più consistente della mafia siciliana, "ha una propria strategia politica. L'occupazione e il governo del territorio in concorrenza con le autorità legittime, il possesso di ingenti risorse finanziarie, la disponibilità di un esercito clandestino e ben armato, il programma di espansione illimitata, tutte queste caratteristiche ne fanno un'organizzazione che si muove secondo logiche di potere e di convenienza, senza regole che non siano quelle della propria tutela e del proprio sviluppo. La strategia politica di Cosa nostra non è mutuata da altri, ma imposta agli altri con la corruzione e la violenza" (Commissione antimafia 1993). Resta da vedere se questa strategia non venga praticata anche in forza di convergenze di interessi e di accordi stipulati senza bisogno di ricorrere alle armi e alle minacce. Per qualche studioso si tratterebbe solo di alleanze tattiche (Lupo 1993, p. 229). Per avere una visione più adeguata bisognerebbe in primo luogo interrogarsi sulla natura dell'associazionismo mafioso. Ad avviso di chi scrive, anche utilizzando la letteratura più avvertita, la mafia può considerarsi soggetto politico, in duplice senso: "1) in quanto associazione criminale la mafia è un gruppo politico, presentando tutte le caratteristiche individuate dalla sociologia classica per la definizione di tale tipo di gruppo; 2) essa concorre come gruppo criminale e con il blocco sociale di cui fa parte alla produzione della politica in senso complessivo, cioè determina o contribuisce a determinare le decisioni e le scelte riguardanti la gestione del potere e la distribuzione delle risorse" (Santino 1994, pp. 12 s.). Per la definizione di gruppo politico possiamo rifarci alla classificazione di Max Weber che nel primo volume della sua Economia e società, dedicato alla Teoria delle categorie sociologiche, comincia con il definire il gruppo sociale: "Una relazione sociale limitata o chiusa verso l'esterno mediante regole deve essere chiamata gruppo sociale quando l'osservanza del suo ordinamento è garantita dall'atteggiamento di determinati uomini, propriamente disposti a realizzarlo - cioè di un capo e, eventualmente, di un apparato amministrativo, che in dati casi ha anche potere di rappresentanza". Un gruppo sociale è sempre un gruppo di potere quando esiste un apparato amministrativo e per potere "si deve intendere la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto". Segue la definizione di gruppo politico: "Un gruppo di potere deve essere chiamato gruppo politico nella misura in cui la sua sussistenza e la validità dei suoi ordinamenti entro un dato territorio con determinati limiti geografici vengono garantite continuativamente mediante l'impiego e la minaccia di una coercizione fisica da parte dell'apparato amministrativo". La riflessione viene perfezionata con la seguente definizione di Stato: "Per Stato si deve intendere un'impresa istituzionale di carattere politico nella quale - e nella misura in cui - l'apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell'attuazione degli ordinamenti" (Weber 1981, pp. 47 ss.). Come associazione criminale con caratteri specifici (si possono richiamare gli elementi indicati dall'art. 416 bis della legge n. 646 del 13 settembre 1982, o legge antimafia: forza di intimidazione del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti e per acquisire direttamente o indirettamente la gestione e il controllo di attività economiche, concessioni, appalti ecc. o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri) la mafia presenta i caratteri fondamentali dei gruppi politici: un ordinamento, cioè un insieme di norme, una dimensione territoriale, la coercizione fisica, un apparato amministrativo in grado di assicurare l'osservanza delle norme e mettere in atto la coercizione fisica. Per designare sinteticamente questa pluralità di funzioni ho adoperato l'espressione signoria territoriale, una forma totalitaria di controllo all'interno e all'esterno, che va dalle attività economiche alla vita personale e relazionale. La mafia concorre alla produzione della politica agendo all'interno del blocco sociale o sistema relazionale egemonizzato da soggetti illegali e legali (borghesia mafiosa), in vari modi: uso politico della violenza, formazione delle rappresentanze nelle istituzioni, controllo sull'attività politico-amministrativa. L'uso politico della violenza si realizza attraverso l'ideazione e l'esecuzione dei cosiddetti delitti politico-mafiosi e delle stragi. I delitti politico-mafiosi mirano a colpire non solo uomini politici o membri della magistratura e delle forze dell'ordine ma anche altri impegnati a vario titolo contro la mafia e l'illegalità e obbediscono a esigenze complessive di salvaguardia degli interessi delle organizzazioni mafiose e di altri soggetti ad esse collegate, interrompendo processi orientati in senso sfavorevole o innescando e rafforzando dinamiche socio-politiche favorevoli al perseguimento di determinati interessi. Si tratta il più delle volte di atti di violenza mirata ma possono esserci anche atti di violenza diffusa, come nel caso delle stragi che hanno colpito indiscriminatamente militanti e partecipanti alle manifestazioni del movimento contadino. A innescare questa vera e propria politica della violenza possono concorrere vari soggetti (gruppi criminali, gruppi terroristici, logge massoniche, servizi segreti ecc.) in nome di una convergenza di interessi e con la mobilitazione di una pluralità di autori; ma la corresponsabilità di più soggetti, ipotizzabile nella ricostruzione delle dinamiche che portano all'evento criminoso, è difficilmente dimostrabile in sede giudiziaria, non solo per difficoltà oggettive ma soprattutto per effetto di operazioni di nascondimento e di depistaggio quasi sempre portate a buon fine. Non per caso gran parte delle stragi consumate nel nostro Paese, con o senza la partecipazione di soggetti mafiosi, è rimasta impunita. La formazione delle rappresentanze istituzionali può avvenire attraverso la selezione dei quadri, il ruolo nelle campagne elettorali, il controllo del voto o anche attraverso la partecipazione diretta di membri delle organizzazioni mafiose o di soggetti ad essa legati alle competizioni elettorali e alle assemblee elettive. Il controllo sull'attività politico-amministrativa si realizza attraverso rapporti con gruppi politici e apparati burocratici, dagli enti locali alle istituzioni centrali, e dà vita a una tipologia variegata che va dallo scambio, limitato o permanente, all'identificazione-compenetrazione, all'affinità culturale e alla condivisione degli interessi. La produzione mafiosa della politica implica una visione della mafia che rifugge da stereotipi diffusi come quelli dell'antistato o del vuoto di Stato. Si è parlato di mafia come antistato soprattutto in relazione ai delitti che hanno colpito uomini delle istituzioni e il vuoto di Stato è un luogo comune che attraversa la storia della Sicilia e dell'intero Mezzogiorno, segnata dalla costituzione di una forma-Stato che ha istituzionalizzato i rapporti di forza esistenti. In realtà la mafia ha un doppio volto. Per un verso ha un suo ordinamento e un sua giustizia (l'omicidio per i mafiosi non è un reato ma una sanzione applicata a chi non si piega ai loro voleri o si contrappone ai loro interessi) e su questi terreni non riconosce il monopolio statale della forza, quindi è fuori e contro lo Stato. Per un altro verso, per le sue attività legate al denaro pubblico e la sua partecipazione attiva alla vita pubblica, la mafia è dentro e con lo Stato. A questa doppiezza della mafia corrisponde, come vedremo, una doppiezza dello Stato, nel senso che esso rinuncia parzialmente al monopolio della forza, legittimando la violenza mafiosa attraverso l'impunità, tutte le volte che viene operata una delega di fatto alla mafia di compiti repressivi. Abbiamo parlato di una variegata tipologia di rapporti ed espressioni come "contiguità" (impiegata, ad esempio, nella requisitoria del maxiprocesso: in Santino 1992, ma ampiamente diffusa) e "coabitazione" (impiegata nella Relazione su mafia e politica del 1993) colgono una parte di tali rapporti, mentre per altri è più adeguata l'espressione "compenetrazione organica" (impiegata sempre nella requisitoria del maxiprocesso). L'Ufficio Istruzione che ha preparato il maxiprocesso, nel commentare le affermazioni della requisitoria, riprendeva l'espressione "contiguità" ma a proposito degli omicidi politici ne sottolineava l'inadeguatezza: "Nella requisitoria del P.M. si fa riferimento alla "contiguità" di determinati ambienti imprenditoriali e politici con Cosa nostra. Ed indubbiamente questa contiguità sussiste anche se è stata scossa, ma non definitivamente superata, dai tanti tragici eventi che hanno posto in luce il vero volto della mafia. Ma qui si parla di omicidi politici, di omicidi cioè in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi mafiosi ed oscuri interessi attinenti alla gestione della Cosa pubblica; fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti ed inquietanti collegamenti, che vanno ben al di là della mera contiguità e che debbono essere individuati e colpiti se si vuole veramente "voltare pagina"" (in Santino 1992). La sentenza di primo grado riprendeva le varie espressioni impiegate per designare il rapporto tra mafia e politica e tracciava un profilo sintetico della natura istituzionale di Cosa nostra, che sarebbe insieme: contropotere, per la sua natura criminale; potere annidato nel contesto sociale, capace di adattarsi ai mutamenti delle condizioni storiche; ordinamento giuridico che ha in comune con la forma Stato i caratteri essenziali: un territorio, un codice, affiliati che vi si attengono e altri che vi si adattano; gruppo di pressione che programma e realizza piani di estensione geografica e di rafforzamento del ruolo a livello nazionale e internazionale (in Santino 1992,1994) Una rappresentazione che coglieva la complessità del fenomeno mafioso e l'articolazione dei ruoli che esso ha esercitato nei suoi rapporti con la politica e l'assetto istituzionale.
Dalla parte della politica. La criminalità del potere e la produzione politica della mafia Abbiamo già accennato al ruolo della Democrazia cristiana, per quasi mezzo secolo partito di maggioranza relativo e architrave del sistema di potere. Nella relazione di maggioranza che chiuse i lavori della Commissione parlamentare antimafia (1976) si dice che la mafia è un fenomeno di classi dirigenti (affermazione che valeva soprattutto per le origini), che la sua specificità è "costituita dall'incessante ricerca di un collegamento con i pubblici poteri", che la DC presentava un indice di personalizzazione (rapporto tra voti di lista e voti di preferenze) più elevato di altri partiti e che il voto di preferenza favoriva l'infiltrazione mafiosa e si puntava il dito sul ruolo di Vito Ciancimino, dirigente democristiano, assessore comunale e per qualche tempo sindaco di Palermo. La relazione di minoranza presentata dal PCI indicava nel gruppo dirigente democristiano siciliano, che avrebbe imbarcato forze liberali e monarchico-qualunquiste legate ai boss mafiosi, il referente politico di una mafia capace di adattarsi ai mutamenti del contesto (Commissione antimafia 1976). Successivamente nella riflessione su fenomeni come la loggia massonica P2, i comportamenti dei servizi segreti cosiddetti "deviati", il ricorso alle stragi per arrestare processi di rinnovamento del quadro politico che mettevano in forse l'assetto internazionale, si è utilizzato un concetto elaborato per l'analisi dello Stato nazista (Fraenkel 1983). Mi riferisco alla teoria del "doppio Stato", fondato su una duplice lealtà dei gruppi dirigenti, verso il proprio Paese e verso lo schieramento internazionale (De Felice 1989). Anche chi scrive ha parlato di una doppiezza dello Stato come schema teorico utilizzabile per analizzare fenomeni come la legittimazione della violenza mafiosa e l'uso illegale della violenza da parte di apparati istituzionali o di soggetti ad essi legati, senza però farne una sorta di dogma interpretativo multiuso (Santino 1994, 1997b) In sintesi violenza e illegalità sono state una risorsa a cui si è fatto ricorso quando la normale dialettica non riusciva a governare il conflitto sociale o a controllare le dinamiche politiche. Si può parlare di criminalità del potere, con riferimento a tutti quegli eventi che dimostrano che per salvaguardare un determinato assetto di potere, perpetuare l'egemonia di determinate forze politiche, garantire il rispetto dei limiti imposti dalla spartizione del mondo in grandi aree di influenza, non si è esitato ad ideare ed eseguire atti criminosi, come le stragi, o a tollerane il compimento, depistando o insabbiando le indagini per accertare le responsabilità. Con l'espressione produzione politica della mafia si possono intendere le varie forme con cui forze politiche e istituzioni "contribuiscono a sostenere e sviluppare la mafia, dall'assicurazione dell'impunità per i fatti delittuosi alle attività collegate con il funzionamento delle istituzioni stesse e con l'uso del denaro pubblico. Tali forme possono arrivare fino a configurare un'istituzionalizzazione formale o sostanziale della mafia (criminocrazia) e/o la mafiosizzazione delle istituzioni" (Santino 1994). Questo non significa che tutto è mafia, ma che si sono realizzate forme di privatizzazione-clandestinizzazione-criminalizzazione delle attività politiche, configurabili come una sorta di forma-mafia, che ha visto soggetti come i gruppi neofascisti, legati a uomini di potere, i servizi segreti, le logge massoniche in cui figuravano vertici delle istituzioni, mettere in atto eventi criminosi che niente avevano a vedere con l'uso legittimo del monopolio della forza. Per quanto riguarda più precisamente il rapporto con la mafia, la legittimazione della violenza con la garanzia dell'impunità ha comportato una demonopolizzazione, cioè una rinuncia al monopolio della forza, elemento costitutivo della moderna forma-Stato (Bobbio 1976). Lo Stato ha recuperato il monopolio della forza per tamponare un'escalation di violenza che tracimava oltre i limiti consentiti, come nel caso della strage di Ciaculli (1963), in cui caddero sette uomini delle forze dell'ordine, dei delitti e delle stragi che hanno colpito personaggi come Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino (sono questi i delitti che hanno scatenato rilevanti effetti boomerang). E questo recupero è stato effettuato in una logica più emergenziale che strategica. Questo è stato il limite di fondo delle politiche criminali del nostro Paese. Anche per quanto riguarda più propriamente il terreno politico, cioè delle competizioni elettorali e della selezione delle rappresentanze, non si andati al di là dell'elaborazione di fattispecie inadeguate e parziali, come quella che prevede lo scambio elettorale politico-mafioso, limitato alla compravendita di voti, attraverso lo scambio tra somme di denaro e la promessa di voti (legge 7 agosto 1992 n. 356, art. 11 ter). La formulazione iniziale era più ampia e più rispondente alla realtà, prevedendo l'acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti ecc., ma è stata ristretta tanto da ridurne, se non cancellarne, l'efficacia. La responsabilità politica, di cui parlava la relazione della Commissione antimafia del 1993, approvata in pieno clima di emergenza, che dovrebbe concretarsi in un giudizio di incompatibilità con l'esercizio di una funzione pubblica per le persone responsabili di fatti non necessariamente definibili come reati ma pur sempre gravi, è rimasta sulla carta e negli ultimi anni si è assistito a un fatto inedito nella storia dell'Italia repubblicana: la candidatura e l'elezione di personaggi sotto processo per mafia, accompagnate da attacchi di inusitata violenza alla magistratura, responsabile di perseguire uomini di potere, in nome dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Un'altra forma di legalizzazione dell'illegalità che si aggiunge alle leggi a tutela di interessi personali e a salvaguardia dell'impunità di personaggi che si sono dati alla politica per sfuggire ai loro problemi giudiziari e che un elettorato non molto dotato di senso civico premia con valanghe di voti, anche come effetto di un sistema maggioritario che cancella e mortifica le minoranze. In questo clima i processi ai politici e ai rappresentanti delle istituzioni incriminati per i loro legami con la mafia (da alcuni politici locali ad Andreotti, il cui processo si è concluso con un esito bifronte) hanno avuto risultati impari rispetto a quelli che riguardano l'ala militare, l'accertamento della verità sulle stragi segna il passo e l'intreccio tra il potere del crimine e la criminalità del potere vive una stagione di cui non si vede la conclusione.
Mafia e forze politiche La mafia non ha ideologia ma ha una spiccata e scaltrita cultura del potere. Nei rapporti con le forze politiche la mafia siciliana ha mostrato una grande capacità di elasticità e di adattamento al mutare del quadro politico e al succedersi dei detentori del potere. Così essa è stata, esclusivamente o prevalentemente, liberale, democristiana e ora è legata ai soggetti politici affermatisi negli ultimi anni. Significativo il comportamento dei mafiosi nelle fasi di transizione, quando varie forze politiche sono in corsa per il potere. Limitandoci al secondo dopoguerra, nei primi anni Quaranta del XX secolo, il ricorso al separatismo, a ridosso dei grandi proprietari terrieri, ebbe soprattutto il significato di un'operazione strumentale mirante ad ottenere un'autonomia regionale che salvaguardasse gli interessi e il potere degli strati dominanti. Alcuni capimafia, come Calogero Vizzini, costituivano insieme la sezione del Partito separatista e quella della Democrazia cristiana, puntavano contemporaneamente su due cavalli, attivandosi per assicurare l'affermazione di quello che si presentava più favorito per vincere la corsa. La vittoria del Blocco del popolo alle elezioni regionali del 20 aprile 1947 stimola l'accentuazione della violenza, già messa in atto per fermare l'avanzata del movimento contadino, e si avrà la strage di Portella del primo maggio, che in concorso con altre scelte maturate a livello nazionale e internazionale, avrà una immediata valenza strategica con l'espulsione delle sinistre dal governo nazionale e con il divieto al loro ingresso in quello regionale. La fase dei governi centristi vede la mafia solidamente attestata con il partito di maggioranza relativa e pronta a ricorrere ancora alla violenza, garantendosi il ruolo di forza armata e di baluardo contro il comunismo, fino alla sconfitta finale del movimento contadino (con una controriforma agraria che stimola gran parte del mondo contadino a scegliere la via dell'emigrazione) e all'assottigliamento della consistenza delle forze di opposizione, emarginate dall'assetto di potere costituito. In questa fase che va dagli anni '50 agli anni '60 la mafia si assicura un canale privilegiato di accesso al denaro pubblico, estendendo e radicando il suo sistema relazionale con i rapporti intessuti con professionisti, imprenditori, amministratori e politici, configurandosi come una forma di borghesia di Stato (Santino - La Fiura 1990, pp. 111 ss.). Il rapporto pattizio si incrina per il lievitare dell'accumulazione illegale e della richiesta di occasioni di investimento e di spazi di potere. I delitti che colpiscono uomini del partito di maggioranza (Michele Reina nel 1979, Piersanti Mattarella nel 1980) hanno un preciso significato: la mafia non tollera le aperture politiche verso l'opposizione e in particolare verso il Partito comunista e considera un intralcio ai suoi interessi le azioni moralizzatrici che toccano terreni scottanti come quello degli appalti di opere pubbliche. Il messaggio arriva a segno: le aperture vengono archiviate e al governo della regione vanno personaggi più affidabili (Santino 1989, pp. 287 ss.). Il patto viene definitivamente sciolto con l'uccisione di Salvo Lima (12 marzo 1992), a cui si rimprovera di non aver cancellato gli effetti del maxiprocesso che si è concluso con pesanti condanne per una serie sterminata di omicidi, interni ed esterni, che hanno insanguinato gli anni '80. Il delitto, che colpisce uno dei personaggi più emblematici del rapporto mafia-politica per decenni, è una sorta di lastra tombale su un intero periodo storico. La mafia ora è alla ricerca di nuovi interlocutori all'interno di un quadro politico profondamente mutato, in cui figurano forze politiche nate sulle ceneri di partiti storici, travolti dai processi per corruzione (la cosiddetta Tangentopoli). Nel 1989 è caduto il muro di Berlino, il socialismo reale è imploso e la mafia ha perduto il suo ruolo storico di baluardo contro il comunismo, in un contesto formalmente aperto ma in realtà sbarrato alle forze di sinistra (quella che ho chiamato "democrazia bloccata": Santino 1997b). L'ondata di stragi del 1992 e '93 è il frutto del delirio di onnipotenza criminale dei cosiddetti corleonesi o è suscitata anche da altri soggetti che mirano a condizionare le dinamiche in atto per determinare i nuovi assetti di potere? La risposta giudiziaria, che ha colpito capi e gregari di Cosa nostra, ha lasciato irrisolto questo interrogativo che rischia di aggiungere un altro capitolo al libro dei cosiddetti misteri italiani Quel che è certo è che mafiosi hanno capito che per stringere nuove alleanze debbono controllare la violenza, soprattutto quella rivolta verso l'alto, e per gli ultimi anni si parla di "mafia sommersa" o inabissata, capace di controllare capillarmente il territorio, di inserirsi nella spartizione del denaro pubblico destinato alle grandi opere, sorretta da una borghesia mafiosa diffusa, forte di legami con personaggi del nuovo scenario politico. Stando anche a inchieste giudiziarie in corso, le forze politiche a cui si rivolgono le maggiori attenzioni sono Forza Italia e l'Udc, che rappresenta nella realtà siciliana la linea di continuità con il sistema di potere democristiano.
Dalla parte della mafia. La mafia come soggetto politico e la produzione mafiosa della politica Si è discusso se la mafia abbia una strategia politica o se intrecciando rapporti con soggetti dell'universo politico si limiti a stringere alleanze tattiche. Secondo la relazione su mafia e politica della Commissione antimafia, Cosa nostra, che rappresenta il gruppo più consistente della mafia siciliana, "ha una propria strategia politica. L'occupazione e il governo del territorio in concorrenza con le autorità legittime, il possesso di ingenti risorse finanziarie, la disponibilità di un esercito clandestino e ben armato, il programma di espansione illimitata, tutte queste caratteristiche ne fanno un'organizzazione che si muove secondo logiche di potere e di convenienza, senza regole che non siano quelle della propria tutela e del proprio sviluppo. La strategia politica di Cosa nostra non è mutuata da altri, ma imposta agli altri con la corruzione e la violenza" (Commissione antimafia 1993). Resta da vedere se questa strategia non venga praticata anche in forza di convergenze di interessi e di accordi stipulati senza bisogno di ricorrere alle armi e alle minacce. Per qualche studioso si tratterebbe solo di alleanze tattiche (Lupo 1993, p. 229). Per avere una visione più adeguata bisognerebbe in primo luogo interrogarsi sulla natura dell'associazionismo mafioso. Ad avviso di chi scrive, anche utilizzando la letteratura più avvertita, la mafia può considerarsi soggetto politico, in duplice senso: "1) in quanto associazione criminale la mafia è un gruppo politico, presentando tutte le caratteristiche individuate dalla sociologia classica per la definizione di tale tipo di gruppo; 2) essa concorre come gruppo criminale e con il blocco sociale di cui fa parte alla produzione della politica in senso complessivo, cioè determina o contribuisce a determinare le decisioni e le scelte riguardanti la gestione del potere e la distribuzione delle risorse" (Santino 1994, pp. 12 s.). Per la definizione di gruppo politico possiamo rifarci alla classificazione di Max Weber che nel primo volume della sua Economia e società, dedicato alla Teoria delle categorie sociologiche, comincia con il definire il gruppo sociale: "Una relazione sociale limitata o chiusa verso l'esterno mediante regole deve essere chiamata gruppo sociale quando l'osservanza del suo ordinamento è garantita dall'atteggiamento di determinati uomini, propriamente disposti a realizzarlo - cioè di un capo e, eventualmente, di un apparato amministrativo, che in dati casi ha anche potere di rappresentanza". Un gruppo sociale è sempre un gruppo di potere quando esiste un apparato amministrativo e per potere "si deve intendere la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto". Segue la definizione di gruppo politico: "Un gruppo di potere deve essere chiamato gruppo politico nella misura in cui la sua sussistenza e la validità dei suoi ordinamenti entro un dato territorio con determinati limiti geografici vengono garantite continuativamente mediante l'impiego e la minaccia di una coercizione fisica da parte dell'apparato amministrativo". La riflessione viene perfezionata con la seguente definizione di Stato: "Per Stato si deve intendere un'impresa istituzionale di carattere politico nella quale - e nella misura in cui - l'apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell'attuazione degli ordinamenti" (Weber 1981, pp. 47 ss.). Come associazione criminale con caratteri specifici (si possono richiamare gli elementi indicati dall'art. 416 bis della legge n. 646 del 13 settembre 1982, o legge antimafia: forza di intimidazione del vincolo associativo, condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti e per acquisire direttamente o indirettamente la gestione e il controllo di attività economiche, concessioni, appalti ecc. o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri) la mafia presenta i caratteri fondamentali dei gruppi politici: un ordinamento, cioè un insieme di norme, una dimensione territoriale, la coercizione fisica, un apparato amministrativo in grado di assicurare l'osservanza delle norme e mettere in atto la coercizione fisica. Per designare sinteticamente questa pluralità di funzioni ho adoperato l'espressione signoria territoriale, una forma totalitaria di controllo all'interno e all'esterno, che va dalle attività economiche alla vita personale e relazionale. La mafia concorre alla produzione della politica agendo all'interno del blocco sociale o sistema relazionale egemonizzato da soggetti illegali e legali (borghesia mafiosa), in vari modi: uso politico della violenza, formazione delle rappresentanze nelle istituzioni, controllo sull'attività politico-amministrativa. L'uso politico della violenza si realizza attraverso l'ideazione e l'esecuzione dei cosiddetti delitti politico-mafiosi e delle stragi. I delitti politico-mafiosi mirano a colpire non solo uomini politici o membri della magistratura e delle forze dell'ordine ma anche altri impegnati a vario titolo contro la mafia e l'illegalità e obbediscono a esigenze complessive di salvaguardia degli interessi delle organizzazioni mafiose e di altri soggetti ad esse collegate, interrompendo processi orientati in senso sfavorevole o innescando e rafforzando dinamiche socio-politiche favorevoli al perseguimento di determinati interessi. Si tratta il più delle volte di atti di violenza mirata ma possono esserci anche atti di violenza diffusa, come nel caso delle stragi che hanno colpito indiscriminatamente militanti e partecipanti alle manifestazioni del movimento contadino. A innescare questa vera e propria politica della violenza possono concorrere vari soggetti (gruppi criminali, gruppi terroristici, logge massoniche, servizi segreti ecc.) in nome di una convergenza di interessi e con la mobilitazione di una pluralità di autori; ma la corresponsabilità di più soggetti, ipotizzabile nella ricostruzione delle dinamiche che portano all'evento criminoso, è difficilmente dimostrabile in sede giudiziaria, non solo per difficoltà oggettive ma soprattutto per effetto di operazioni di nascondimento e di depistaggio quasi sempre portate a buon fine. Non per caso gran parte delle stragi consumate nel nostro Paese, con o senza la partecipazione di soggetti mafiosi, è rimasta impunita. La formazione delle rappresentanze istituzionali può avvenire attraverso la selezione dei quadri, il ruolo nelle campagne elettorali, il controllo del voto o anche attraverso la partecipazione diretta di membri delle organizzazioni mafiose o di soggetti ad essa legati alle competizioni elettorali e alle assemblee elettive. Il controllo sull'attività politico-amministrativa si realizza attraverso rapporti con gruppi politici e apparati burocratici, dagli enti locali alle istituzioni centrali, e dà vita a una tipologia variegata che va dallo scambio, limitato o permanente, all'identificazione-compenetrazione, all'affinità culturale e alla condivisione degli interessi. La produzione mafiosa della politica implica una visione della mafia che rifugge da stereotipi diffusi come quelli dell'antistato o del vuoto di Stato. Si è parlato di mafia come antistato soprattutto in relazione ai delitti che hanno colpito uomini delle istituzioni e il vuoto di Stato è un luogo comune che attraversa la storia della Sicilia e dell'intero Mezzogiorno, segnata dalla costituzione di una forma-Stato che ha istituzionalizzato i rapporti di forza esistenti. In realtà la mafia ha un doppio volto. Per un verso ha un suo ordinamento e un sua giustizia (l'omicidio per i mafiosi non è un reato ma una sanzione applicata a chi non si piega ai loro voleri o si contrappone ai loro interessi) e su questi terreni non riconosce il monopolio statale della forza, quindi è fuori e contro lo Stato. Per un altro verso, per le sue attività legate al denaro pubblico e la sua partecipazione attiva alla vita pubblica, la mafia è dentro e con lo Stato. A questa doppiezza della mafia corrisponde, come vedremo, una doppiezza dello Stato, nel senso che esso rinuncia parzialmente al monopolio della forza, legittimando la violenza mafiosa attraverso l'impunità, tutte le volte che viene operata una delega di fatto alla mafia di compiti repressivi. Abbiamo parlato di una variegata tipologia di rapporti ed espressioni come "contiguità" (impiegata, ad esempio, nella requisitoria del maxiprocesso: in Santino 1992, ma ampiamente diffusa) e "coabitazione" (impiegata nella Relazione su mafia e politica del 1993) colgono una parte di tali rapporti, mentre per altri è più adeguata l'espressione "compenetrazione organica" (impiegata sempre nella requisitoria del maxiprocesso). L'Ufficio Istruzione che ha preparato il maxiprocesso, nel commentare le affermazioni della requisitoria, riprendeva l'espressione "contiguità" ma a proposito degli omicidi politici ne sottolineava l'inadeguatezza: "Nella requisitoria del P.M. si fa riferimento alla "contiguità" di determinati ambienti imprenditoriali e politici con Cosa nostra. Ed indubbiamente questa contiguità sussiste anche se è stata scossa, ma non definitivamente superata, dai tanti tragici eventi che hanno posto in luce il vero volto della mafia. Ma qui si parla di omicidi politici, di omicidi cioè in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi mafiosi ed oscuri interessi attinenti alla gestione della Cosa pubblica; fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti ed inquietanti collegamenti, che vanno ben al di là della mera contiguità e che debbono essere individuati e colpiti se si vuole veramente "voltare pagina"" (in Santino 1992). La sentenza di primo grado riprendeva le varie espressioni impiegate per designare il rapporto tra mafia e politica e tracciava un profilo sintetico della natura istituzionale di Cosa nostra, che sarebbe insieme: contropotere, per la sua natura criminale; potere annidato nel contesto sociale, capace di adattarsi ai mutamenti delle condizioni storiche; ordinamento giuridico che ha in comune con la forma Stato i caratteri essenziali: un territorio, un codice, affiliati che vi si attengono e altri che vi si adattano; gruppo di pressione che programma e realizza piani di estensione geografica e di rafforzamento del ruolo a livello nazionale e internazionale (in Santino 1992,1994) Una rappresentazione che coglieva la complessità del fenomeno mafioso e l'articolazione dei ruoli che esso ha esercitato nei suoi rapporti con la politica e l'assetto istituzionale.
Dalla parte della politica. La criminalità del potere e la produzione politica della mafia Abbiamo già accennato al ruolo della Democrazia cristiana, per quasi mezzo secolo partito di maggioranza relativo e architrave del sistema di potere. Nella relazione di maggioranza che chiuse i lavori della Commissione parlamentare antimafia (1976) si dice che la mafia è un fenomeno di classi dirigenti (affermazione che valeva soprattutto per le origini), che la sua specificità è "costituita dall'incessante ricerca di un collegamento con i pubblici poteri", che la DC presentava un indice di personalizzazione (rapporto tra voti di lista e voti di preferenze) più elevato di altri partiti e che il voto di preferenza favoriva l'infiltrazione mafiosa e si puntava il dito sul ruolo di Vito Ciancimino, dirigente democristiano, assessore comunale e per qualche tempo sindaco di Palermo. La relazione di minoranza presentata dal PCI indicava nel gruppo dirigente democristiano siciliano, che avrebbe imbarcato forze liberali e monarchico-qualunquiste legate ai boss mafiosi, il referente politico di una mafia capace di adattarsi ai mutamenti del contesto (Commissione antimafia 1976). Successivamente nella riflessione su fenomeni come la loggia massonica P2, i comportamenti dei servizi segreti cosiddetti "deviati", il ricorso alle stragi per arrestare processi di rinnovamento del quadro politico che mettevano in forse l'assetto internazionale, si è utilizzato un concetto elaborato per l'analisi dello Stato nazista (Fraenkel 1983). Mi riferisco alla teoria del "doppio Stato", fondato su una duplice lealtà dei gruppi dirigenti, verso il proprio Paese e verso lo schieramento internazionale (De Felice 1989). Anche chi scrive ha parlato di una doppiezza dello Stato come schema teorico utilizzabile per analizzare fenomeni come la legittimazione della violenza mafiosa e l'uso illegale della violenza da parte di apparati istituzionali o di soggetti ad essi legati, senza però farne una sorta di dogma interpretativo multiuso (Santino 1994, 1997b) In sintesi violenza e illegalità sono state una risorsa a cui si è fatto ricorso quando la normale dialettica non riusciva a governare il conflitto sociale o a controllare le dinamiche politiche. Si può parlare di criminalità del potere, con riferimento a tutti quegli eventi che dimostrano che per salvaguardare un determinato assetto di potere, perpetuare l'egemonia di determinate forze politiche, garantire il rispetto dei limiti imposti dalla spartizione del mondo in grandi aree di influenza, non si è esitato ad ideare ed eseguire atti criminosi, come le stragi, o a tollerane il compimento, depistando o insabbiando le indagini per accertare le responsabilità. Con l'espressione produzione politica della mafia si possono intendere le varie forme con cui forze politiche e istituzioni "contribuiscono a sostenere e sviluppare la mafia, dall'assicurazione dell'impunità per i fatti delittuosi alle attività collegate con il funzionamento delle istituzioni stesse e con l'uso del denaro pubblico. Tali forme possono arrivare fino a configurare un'istituzionalizzazione formale o sostanziale della mafia (criminocrazia) e/o la mafiosizzazione delle istituzioni" (Santino 1994). Questo non significa che tutto è mafia, ma che si sono realizzate forme di privatizzazione-clandestinizzazione-criminalizzazione delle attività politiche, configurabili come una sorta di forma-mafia, che ha visto soggetti come i gruppi neofascisti, legati a uomini di potere, i servizi segreti, le logge massoniche in cui figuravano vertici delle istituzioni, mettere in atto eventi criminosi che niente avevano a vedere con l'uso legittimo del monopolio della forza. Per quanto riguarda più precisamente il rapporto con la mafia, la legittimazione della violenza con la garanzia dell'impunità ha comportato una demonopolizzazione, cioè una rinuncia al monopolio della forza, elemento costitutivo della moderna forma-Stato (Bobbio 1976). Lo Stato ha recuperato il monopolio della forza per tamponare un'escalation di violenza che tracimava oltre i limiti consentiti, come nel caso della strage di Ciaculli (1963), in cui caddero sette uomini delle forze dell'ordine, dei delitti e delle stragi che hanno colpito personaggi come Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino (sono questi i delitti che hanno scatenato rilevanti effetti boomerang). E questo recupero è stato effettuato in una logica più emergenziale che strategica. Questo è stato il limite di fondo delle politiche criminali del nostro Paese. Anche per quanto riguarda più propriamente il terreno politico, cioè delle competizioni elettorali e della selezione delle rappresentanze, non si andati al di là dell'elaborazione di fattispecie inadeguate e parziali, come quella che prevede lo scambio elettorale politico-mafioso, limitato alla compravendita di voti, attraverso lo scambio tra somme di denaro e la promessa di voti (legge 7 agosto 1992 n. 356, art. 11 ter). La formulazione iniziale era più ampia e più rispondente alla realtà, prevedendo l'acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti ecc., ma è stata ristretta tanto da ridurne, se non cancellarne, l'efficacia. La responsabilità politica, di cui parlava la relazione della Commissione antimafia del 1993, approvata in pieno clima di emergenza, che dovrebbe concretarsi in un giudizio di incompatibilità con l'esercizio di una funzione pubblica per le persone responsabili di fatti non necessariamente definibili come reati ma pur sempre gravi, è rimasta sulla carta e negli ultimi anni si è assistito a un fatto inedito nella storia dell'Italia repubblicana: la candidatura e l'elezione di personaggi sotto processo per mafia, accompagnate da attacchi di inusitata violenza alla magistratura, responsabile di perseguire uomini di potere, in nome dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Un'altra forma di legalizzazione dell'illegalità che si aggiunge alle leggi a tutela di interessi personali e a salvaguardia dell'impunità di personaggi che si sono dati alla politica per sfuggire ai loro problemi giudiziari e che un elettorato non molto dotato di senso civico premia con valanghe di voti, anche come effetto di un sistema maggioritario che cancella e mortifica le minoranze. In questo clima i processi ai politici e ai rappresentanti delle istituzioni incriminati per i loro legami con la mafia (da alcuni politici locali ad Andreotti, il cui processo si è concluso con un esito bifronte) hanno avuto risultati impari rispetto a quelli che riguardano l'ala militare, l'accertamento della verità sulle stragi segna il passo e l'intreccio tra il potere del crimine e la criminalità del potere vive una stagione di cui non si vede la conclusione.
Mafia e forze politiche La mafia non ha ideologia ma ha una spiccata e scaltrita cultura del potere. Nei rapporti con le forze politiche la mafia siciliana ha mostrato una grande capacità di elasticità e di adattamento al mutare del quadro politico e al succedersi dei detentori del potere. Così essa è stata, esclusivamente o prevalentemente, liberale, democristiana e ora è legata ai soggetti politici affermatisi negli ultimi anni. Significativo il comportamento dei mafiosi nelle fasi di transizione, quando varie forze politiche sono in corsa per il potere. Limitandoci al secondo dopoguerra, nei primi anni Quaranta del XX secolo, il ricorso al separatismo, a ridosso dei grandi proprietari terrieri, ebbe soprattutto il significato di un'operazione strumentale mirante ad ottenere un'autonomia regionale che salvaguardasse gli interessi e il potere degli strati dominanti. Alcuni capimafia, come Calogero Vizzini, costituivano insieme la sezione del Partito separatista e quella della Democrazia cristiana, puntavano contemporaneamente su due cavalli, attivandosi per assicurare l'affermazione di quello che si presentava più favorito per vincere la corsa. La vittoria del Blocco del popolo alle elezioni regionali del 20 aprile 1947 stimola l'accentuazione della violenza, già messa in atto per fermare l'avanzata del movimento contadino, e si avrà la strage di Portella del primo maggio, che in concorso con altre scelte maturate a livello nazionale e internazionale, avrà una immediata valenza strategica con l'espulsione delle sinistre dal governo nazionale e con il divieto al loro ingresso in quello regionale. La fase dei governi centristi vede la mafia solidamente attestata con il partito di maggioranza relativa e pronta a ricorrere ancora alla violenza, garantendosi il ruolo di forza armata e di baluardo contro il comunismo, fino alla sconfitta finale del movimento contadino (con una controriforma agraria che stimola gran parte del mondo contadino a scegliere la via dell'emigrazione) e all'assottigliamento della consistenza delle forze di opposizione, emarginate dall'assetto di potere costituito. In questa fase che va dagli anni '50 agli anni '60 la mafia si assicura un canale privilegiato di accesso al denaro pubblico, estendendo e radicando il suo sistema relazionale con i rapporti intessuti con professionisti, imprenditori, amministratori e politici, configurandosi come una forma di borghesia di Stato (Santino - La Fiura 1990, pp. 111 ss.). Il rapporto pattizio si incrina per il lievitare dell'accumulazione illegale e della richiesta di occasioni di investimento e di spazi di potere. I delitti che colpiscono uomini del partito di maggioranza (Michele Reina nel 1979, Piersanti Mattarella nel 1980) hanno un preciso significato: la mafia non tollera le aperture politiche verso l'opposizione e in particolare verso il Partito comunista e considera un intralcio ai suoi interessi le azioni moralizzatrici che toccano terreni scottanti come quello degli appalti di opere pubbliche. Il messaggio arriva a segno: le aperture vengono archiviate e al governo della regione vanno personaggi più affidabili (Santino 1989, pp. 287 ss.). Il patto viene definitivamente sciolto con l'uccisione di Salvo Lima (12 marzo 1992), a cui si rimprovera di non aver cancellato gli effetti del maxiprocesso che si è concluso con pesanti condanne per una serie sterminata di omicidi, interni ed esterni, che hanno insanguinato gli anni '80. Il delitto, che colpisce uno dei personaggi più emblematici del rapporto mafia-politica per decenni, è una sorta di lastra tombale su un intero periodo storico. La mafia ora è alla ricerca di nuovi interlocutori all'interno di un quadro politico profondamente mutato, in cui figurano forze politiche nate sulle ceneri di partiti storici, travolti dai processi per corruzione (la cosiddetta Tangentopoli). Nel 1989 è caduto il muro di Berlino, il socialismo reale è imploso e la mafia ha perduto il suo ruolo storico di baluardo contro il comunismo, in un contesto formalmente aperto ma in realtà sbarrato alle forze di sinistra (quella che ho chiamato "democrazia bloccata": Santino 1997b). L'ondata di stragi del 1992 e '93 è il frutto del delirio di onnipotenza criminale dei cosiddetti corleonesi o è suscitata anche da altri soggetti che mirano a condizionare le dinamiche in atto per determinare i nuovi assetti di potere? La risposta giudiziaria, che ha colpito capi e gregari di Cosa nostra, ha lasciato irrisolto questo interrogativo che rischia di aggiungere un altro capitolo al libro dei cosiddetti misteri italiani Quel che è certo è che mafiosi hanno capito che per stringere nuove alleanze debbono controllare la violenza, soprattutto quella rivolta verso l'alto, e per gli ultimi anni si parla di "mafia sommersa" o inabissata, capace di controllare capillarmente il territorio, di inserirsi nella spartizione del denaro pubblico destinato alle grandi opere, sorretta da una borghesia mafiosa diffusa, forte di legami con personaggi del nuovo scenario politico. Stando anche a inchieste giudiziarie in corso, le forze politiche a cui si rivolgono le maggiori attenzioni sono Forza Italia e l'Udc, che rappresenta nella realtà siciliana la linea di continuità con il sistema di potere democristiano.
Giovanni Falcone e il contrasto al crimine organizzato transnazionale
Giovanni Falcone e il contrasto al crimine organizzato transnazionale
In una vicenda – insieme personale e sociale – come quella segnata dal percorso personale di Giovanni Falcone, sono pochi i tratti che a distanza di 12 anni dal suo sacrificio non sono stati ricordati e approfonditi con attenzione. Fra le sue intuizioni più vive e vitali vi è però la consapevolezza della dimensione internazionale che la criminalità organizzata è andata progressivamente assumendo e che ne caratterizza sempre più i caratteri costitutivi e le forme di manifestazione. Pur sulla base di una esperienza che Falcone aveva sviluppato per anni in un contesto geografico specifico e culturalmente definito, egli maturò un antesignano convincimento in merito all'importanza di non trascurare i collegamenti internazionali della criminalità organizzata di tipo mafioso e della possibilità di rintracciare veri e propri caratteri comuni delle principali associazioni criminali che operano su scala internazionale.Di questo suo sguardo saldamente ancorato al locale, ma aperto al globale è lucida testimonianza una conferenza, tenuta presso il Bundeskriminalamt di Wiesbaden (RFT) nel novembre del 1990 e ripubblicata a chiusura simbolica del bel volume che raccoglie gli interventi pubblici del magistrato undici anni fa (edito dall'omonima Fondazione con il titolo Giovanni Falcone. Interventi e proposte: 1982-1992). In essa, Falcone segnalava che “l'apertura delle frontiere all'interno della Comunità Europea favorirà necessariamente l'espansione della mafia e della criminalità organizzata con i sistemi mafiosi”, pur precisando che in tale passaggio si sarebbero verificata una mutazione di alcuni caratteri del fenomeno. Sul piano proposito si concludeva che “la via decisiva che deve essere intrapresa” consiste nella distruzione del “potere finanziario della criminalità organizzata”: da qui l'espresso monito rivolto a “tutti i componenti della comunità internazionale” e relativo alla “necessità di un corrispondente adeguamento della legislazione internazionale e della realizzazione di una costante ed efficace collaborazione internazionale”.L'importanza di obiettivi simili, unitamente al valore esemplare del sacrificio di Falcone per il primato della legge, spiegano la scelta di onorarne la memoria compiuta dall'Unione Europea, dopo che il Trattato di Maastricht aveva assunto la cooperazione nel settore della Giustizia fra le proprie grandi direttrici di intervento. In particolare, sin dal Piano di azione contro la criminalità organizzata del 1997 si era previsto di sostenere finanziariamente studi, scambi, attività di formazione ed altre forme di cooperazione che coinvolgono persone responsabili a vario titolo nella lotta contro la criminalità organizzata. La scelta di intestare tale programma a Giovanni Falcone è stata di alto significato: in tale ambito a partire dal 1998 e per quattro anni la Commissione Europea ha cofinanziato progetti presentati almeno due stati membri su temi attinenti alla criminalità organizzata.In tale cornice un particolare significato ha assunto il Progetto comune europeo di contrasto alla criminalità organizzata, sviluppato fra il 1998 ed il 2001 dalla Città di Palermo - quale realtà storicamente segnata, tanto dalla presenza della criminalità mafiosa, quanto da una intensa e differenziata azione di contrasto alla stessa – in collaborazione con il Max-Planck-Institut für ausländisches und internationales Strafrecht (Freiburg im Breisgau), e istituzioni giudiziarie, scientifiche e amministrative italiane, tedesche e spagnole (*). In particolare, il Progetto comune europeo ha adottato un approccio comparato, quanto agli ordinamenti interessati, e integrato, quanto alle figure professionali coinvolte per approfondire otto ambiti tematici:
l'impegno europeo nel contrasto alla criminalità organizzata, con particolare riferimento alle basi normative per l'armonizzazione dei sistemi penali;
le manifestazioni della criminalità organizzata nei tre Stati-membri considerati: analisi sociologica-criminologica;
l'associazione criminale come incriminazione specifica contro il crimine organizzato: rilevanza normativa, caratteristiche strutturali, campi di attività, forme di partecipazione;
le infiltrazioni criminali nella politica, nelle professioni e nella società: fenomenologia e strategie di contrasto;
i proventi illeciti ed il loro contrasto: riciclaggio, indagini patrimoniali e confisca di beni illeciti;
i collaboratori di giustizia e la legislazione premiale;
gli strumenti processuali di contrasto alla criminalità organizzata;
la reazione della società civile e la prevenzione degli enti locali.
Su tale base, si è proceduto a definire un nucleo ristretto di proposte di norme minime da adottare a livello europeo per un contrasto più giusto ed efficace alla criminalità organizzata. In particolare, le proposte concernono:
la partecipazione ad una organizzazione criminale come modello di incriminazione europea;
un modello di confisca “allargata” nell'ambito della criminalità organizzata;
una disciplina europea dell'impiego di mezzi tecnici per l'intercettazione di comunicazioni private;
norme europee a favore dei collaboratori di giustizia.
I risultati dalla ricerca sono stati pubblicati dalla casa editrice del Max Plance Institut di Freiburg in tre volumi in più lingue, per consentire una maggiore diffusione internazionale del lavoro. Essi sono stati oggetto di dibattiti internazionali e presentati al Commissario Europeo per la Giustizia Antonio Vitorino. Il volume in italiano – con il titolo Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale, distribuito in Italia dalla rete di una primaria casa editrice giuridica – ha vinto nel 2002 il “Premio internazionale Falcone-Borsellino” dell'Istituto giuridico per la ricerca comparata. Un riconoscimento che richiama quell'intuizione di Falcone relativa al carattere internazionale della criminalità organizzata contemporanea e che ormai tutte le istituzioni impegnate nell'azione di contrasto al fenomeno non possono più trascurare.
In una vicenda – insieme personale e sociale – come quella segnata dal percorso personale di Giovanni Falcone, sono pochi i tratti che a distanza di 12 anni dal suo sacrificio non sono stati ricordati e approfonditi con attenzione. Fra le sue intuizioni più vive e vitali vi è però la consapevolezza della dimensione internazionale che la criminalità organizzata è andata progressivamente assumendo e che ne caratterizza sempre più i caratteri costitutivi e le forme di manifestazione. Pur sulla base di una esperienza che Falcone aveva sviluppato per anni in un contesto geografico specifico e culturalmente definito, egli maturò un antesignano convincimento in merito all'importanza di non trascurare i collegamenti internazionali della criminalità organizzata di tipo mafioso e della possibilità di rintracciare veri e propri caratteri comuni delle principali associazioni criminali che operano su scala internazionale.Di questo suo sguardo saldamente ancorato al locale, ma aperto al globale è lucida testimonianza una conferenza, tenuta presso il Bundeskriminalamt di Wiesbaden (RFT) nel novembre del 1990 e ripubblicata a chiusura simbolica del bel volume che raccoglie gli interventi pubblici del magistrato undici anni fa (edito dall'omonima Fondazione con il titolo Giovanni Falcone. Interventi e proposte: 1982-1992). In essa, Falcone segnalava che “l'apertura delle frontiere all'interno della Comunità Europea favorirà necessariamente l'espansione della mafia e della criminalità organizzata con i sistemi mafiosi”, pur precisando che in tale passaggio si sarebbero verificata una mutazione di alcuni caratteri del fenomeno. Sul piano proposito si concludeva che “la via decisiva che deve essere intrapresa” consiste nella distruzione del “potere finanziario della criminalità organizzata”: da qui l'espresso monito rivolto a “tutti i componenti della comunità internazionale” e relativo alla “necessità di un corrispondente adeguamento della legislazione internazionale e della realizzazione di una costante ed efficace collaborazione internazionale”.L'importanza di obiettivi simili, unitamente al valore esemplare del sacrificio di Falcone per il primato della legge, spiegano la scelta di onorarne la memoria compiuta dall'Unione Europea, dopo che il Trattato di Maastricht aveva assunto la cooperazione nel settore della Giustizia fra le proprie grandi direttrici di intervento. In particolare, sin dal Piano di azione contro la criminalità organizzata del 1997 si era previsto di sostenere finanziariamente studi, scambi, attività di formazione ed altre forme di cooperazione che coinvolgono persone responsabili a vario titolo nella lotta contro la criminalità organizzata. La scelta di intestare tale programma a Giovanni Falcone è stata di alto significato: in tale ambito a partire dal 1998 e per quattro anni la Commissione Europea ha cofinanziato progetti presentati almeno due stati membri su temi attinenti alla criminalità organizzata.In tale cornice un particolare significato ha assunto il Progetto comune europeo di contrasto alla criminalità organizzata, sviluppato fra il 1998 ed il 2001 dalla Città di Palermo - quale realtà storicamente segnata, tanto dalla presenza della criminalità mafiosa, quanto da una intensa e differenziata azione di contrasto alla stessa – in collaborazione con il Max-Planck-Institut für ausländisches und internationales Strafrecht (Freiburg im Breisgau), e istituzioni giudiziarie, scientifiche e amministrative italiane, tedesche e spagnole (*). In particolare, il Progetto comune europeo ha adottato un approccio comparato, quanto agli ordinamenti interessati, e integrato, quanto alle figure professionali coinvolte per approfondire otto ambiti tematici:
l'impegno europeo nel contrasto alla criminalità organizzata, con particolare riferimento alle basi normative per l'armonizzazione dei sistemi penali;
le manifestazioni della criminalità organizzata nei tre Stati-membri considerati: analisi sociologica-criminologica;
l'associazione criminale come incriminazione specifica contro il crimine organizzato: rilevanza normativa, caratteristiche strutturali, campi di attività, forme di partecipazione;
le infiltrazioni criminali nella politica, nelle professioni e nella società: fenomenologia e strategie di contrasto;
i proventi illeciti ed il loro contrasto: riciclaggio, indagini patrimoniali e confisca di beni illeciti;
i collaboratori di giustizia e la legislazione premiale;
gli strumenti processuali di contrasto alla criminalità organizzata;
la reazione della società civile e la prevenzione degli enti locali.
Su tale base, si è proceduto a definire un nucleo ristretto di proposte di norme minime da adottare a livello europeo per un contrasto più giusto ed efficace alla criminalità organizzata. In particolare, le proposte concernono:
la partecipazione ad una organizzazione criminale come modello di incriminazione europea;
un modello di confisca “allargata” nell'ambito della criminalità organizzata;
una disciplina europea dell'impiego di mezzi tecnici per l'intercettazione di comunicazioni private;
norme europee a favore dei collaboratori di giustizia.
I risultati dalla ricerca sono stati pubblicati dalla casa editrice del Max Plance Institut di Freiburg in tre volumi in più lingue, per consentire una maggiore diffusione internazionale del lavoro. Essi sono stati oggetto di dibattiti internazionali e presentati al Commissario Europeo per la Giustizia Antonio Vitorino. Il volume in italiano – con il titolo Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale, distribuito in Italia dalla rete di una primaria casa editrice giuridica – ha vinto nel 2002 il “Premio internazionale Falcone-Borsellino” dell'Istituto giuridico per la ricerca comparata. Un riconoscimento che richiama quell'intuizione di Falcone relativa al carattere internazionale della criminalità organizzata contemporanea e che ormai tutte le istituzioni impegnate nell'azione di contrasto al fenomeno non possono più trascurare.
Mafia: una guida bibliografica ragionata
Mafia: una guida bibliografica ragionata
Di che cosa ci stiamo occupando Può sembrare paradossale, ma una ricerca sulla mafia deve cominciare dalla focalizzazione precisa del tema: in questo caso, come in pochi altri, infatti, uno stesso termine è adoperato in significati disparati, talora contraddittori. La parola "mafia" ha insieme indicato: un comportamento e un modo di essere, cioè una mentalità e uno stato d'animo, e un dato di fatto, cioè l'associazione criminale; l'espressione del "senso dell'onore" e dell'"ipertrofia dell'io" di determinate popolazioni e la manifestazione della loro inferiorità razziale; un fenomeno locale e residuale e la "piovra" universale; l'effetto e la causa del sottosviluppo etc. etc. È evidente che l'indeterminazione pregiudica la riuscita dell'indagine, per cui si pone preliminarmente l'esigenza di individuare un'ipotesi definitoria. In un volume che raccoglie gli atti di una "giornata di bilancio e di riflessione", svoltasi l'8 maggio 1988 nel decimo anniversario dell'assassinio del militante Giuseppe Impastato, Umberto Santino, direttore del primo centro di documentazione e di studi sulla mafia sorto in Italia, propone la seguente definizione del fenomeno mafioso: Per quanto riguarda lo sviluppo storico del fenomeno, esso viene visto come un intreccio di continuità e trasformazione, qualcosa di più complesso delle classificazioni correnti, imperniate su nozioni approssimative come "mafia vecchia" e "mafia nuova". Santino individua quattro fasi: La mafia negli anni '60-'80 Sarebbe troppo impegnativo citare le fonti per una ricerca sulla mafia degli anni '60-'80, che non dovrebbe prescindere dai materiali pubblicati dalla Commissione parlamentari antimafia (1963-1976), voluminosi e difficilmente reperibili. Per gli anni più recenti ricordiamo solo, per l'accessibilità anche a docenti e studenti, il volume a cura di C. Staiano, Mafia. L'atto d'accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma, 1986, che pubblica stralci dell'ordinanza-sentenza istruttoria del primo maxi-processo di Palermo. Immediatamente fruibili, e coinvolgenti anche dal punto di vista psicologico, alcune "storie di vita" riguardanti personaggi femminili in rotta con il mondo mafioso e un ambiente popolare impregnato di mafiosità da cui provengono: F. Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo, 1986; A. Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo, 1990. Nel primo testo viene intervistata la madre di Impastato, il militante siciliano che - avendo rinnegato la matrice mafiosa familiare - si dedica a iniziative politiche e culturali contro la mafia, finendo trucidato con una bomba ad opera di "notissimi ignoti". Nel secondo testo sono intervistate Michela Buscemi e Pietra Lo Verso, legate a vittime di violenza mafiosa, che - rompendo una secolare tradizione di omertà - si sono costituite parti civili in processi contro la mafia. Un'importante testimonianza è il volume di Nando Dalla Chiesa, Delitto imperfetto, Mondadori, Milano, 1984. Se passiamo dalle "fonti" alle interpretazioni critiche, troviamo molto materiale a livello divulgativo, ma molto poco a livello di ricerca empirica e di sintesi teorica. Per un orientamento nel vasto mondo della produzione giornalistica un'utile bussola è il volume G. Priulla (a cura di), Mafia e informazione, Liviana, Padova, 1987. Le poche ricerche che propongono modelli complessivi d'interpretazione teorica della mafia contemporanea sono quelle di F. Ferrarotti, P. Arlacchi, R. Catanzaro e U. Santino. Franco Ferrarotti, in Rapporto sulla mafia: da costume locale a problema dello sviluppo nazionale, Liguori, Napoli, 1978, pubblica i materiali di una ricerca commissionatagli dalla Commissione parlamentare antimafia. La mafia viene considerata come "fenomeno globale", nel senso che essa Il volume propone una bibliografia critica essenziale e contiene i risultati di una ricerca condotta, attraverso la somministrazione di un questionario, in città e comuni della Sicilia "nell'intento di mettere in luce la cultura delle popolazioni che vivono nelle zone mafiose, intesa come il costume e la mentalità media prevalente" (p. 141), e che ha riguardato anche l'evasione scolastica e l'atteggiamento delle famiglie verso l'istruzione. Pino Arlacchi, in La mafia imprenditrice. L'etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, il Mulino, Bologna, 1983, introduce una categoria interpretativa basata sull'impresa mafiosa, e sui suoi vantaggi economico-finanziari. La prima parte del volume .Nella seconda parte del volume si fa una rapida descrizione degli effetti della "grande trasformazione" post-bellica della società italiana e del Mezzogiorno sul potere e sul comportamento mafioso tradizionali, mentre la terza parte "è dedicata ad un tipo ideale della mafia e del mafioso dei nostri tempi". Negli anni '70 sarebbe nata la "mafia imprenditrice", la quale godrebbe di un "profitto monopolistico", frutto di una "innovazione" consistente nel "trasferimento del metodo mafioso nell'organizzazione aziendale del lavoro e nella conduzione degli affari esterni all'impresa". Secondo l'autore, Tuttavia, in un testo successivo, la grande criminalità meridionale, che da parassitaria sarebbe diventata produttiva, viene presentata come "uno degli ostacoli più importanti e più trascurati dello sviluppo economico italiano" (I costi economici della grande criminalità in AA.VV., L'impresa mafiosa entra nel mercato, F. Angeli, Milano, 1985, p. 29). Raimondo Catanzaro in Il delitto come impresa, Liviana, Padova 1988, Rizzoli, Milano, 1989, ha proposto un'interpretazione della mafia come frutto di un processo di "ibridazione sociale": Particolarmente significative le pagine dedicate al concetto di onore inteso come "concentrato di ricchezza, potere, prestigio e violenza" (p. 65); le considerazioni sulla violenza come "strumento di regolazione dell'economia" (pp. 71 e ss.) e le riflessioni sugli sviluppi del fenomeno mafioso negli ultimi anni, sia per ciò che riguarda le attività imprenditoriali sia per gli effetti di inquinamento del sistema politico. L'ipotesi di definizione della mafia come "borghesia mafiosa", concetto più ampio di quello di mafia come mera associazione criminale, elaborata da Umberto Santino, è stata verificata all'interno di ricerche empiriche pubblicate nei volumi: G. Chinnici - U. Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, F. Angeli, Milano, 1989 e U. Santino - G. La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, F. Angeli, Milano, 1990. Nel primo l'omicidio mafioso viene considerato come "omicidio-progetto", cioè come strumento per la risoluzione della concorrenza interna e della "gara egemonica" con soggetti esterni, che si inquadra in un programma complessivo delle organizzazioni criminose, con l'abbattimento degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del piano di arricchimento e di dominio. Nel secondo volume si formula l'ipotesi della "economia polimorfa" e del "mercato multidimensionale", in cui economia legale, sommersa e illegale presentano tipologie di rapporti (compenetrazione, convivenza, conflitto) ricavate dalle risultanze dell'indagine, condotta sugli accertamenti patrimoniali in attuazione della legge antimafia. Da tali accertamenti risulta che, tolti due grandi gruppi imprenditoriali, individuati in Lombardia e in Sicilia, le altre realtà imprenditoriali sottoposte a sequestro e confisca hanno principalmente funzione di copertura e di riciclaggio del capitale accumulato illecitamente, per cui sarebbe confermata l'ipotesi di lettura della mafia attuale soprattutto come "mafia finanziaria". I libri sinora citati mirano, essenzialmente, a decifrare il fenomeno "mafia" da un punto di vista storico, sociologico, economico e politico. Sarebbe interessante, almeno per degli educatori, avere a disposizione anche del materiale per elaborare una "pedagogia" dell'antimafia: ma, purtroppo, su questo versante, siamo ancora a contributi sporadici sotto forma di articoli. D'altra parte è ovvio che, se non si vuole cedere agli slogans, un'azione pedagogica efficace ha senso solo se inserita in un progetto culturale, etico, sociale e politico tendente a fare delle popolazioni meridionali i protagonisti del proprio riscatto. Con limiti ed ambiguità, la chiesa cattolica è tra le pochissime agenzie educative che ha cercato di offrire elementi in questo senso: per farsi un'idea di tale impegno può consultarsi il recente volume di A. Chillura, Coscienza di chiesa e fenomeno mafia, Augustinus, Palermo, 1990, che raccoglie gli interventi delle chiese siciliane, sia a livello di vertici che di base. Alcuni degli esperimenti più interessanti nell'elaborazione di strategie pedagogiche alternative sono il frutto della convergenza di soggettività e culture diverse, come è testimoniato, per esempio, nei recenti volumi di A. Cavadi, Fare teologia a Palermo. Intervista a don Cosimo Scordato sulla "teologia del risanamento" e sull'esperienza del Centro sociale "San Francesco Saverio" all'Albergheria, Augustinus, Palermo, 1990 e di Cosimo Scordato, Uscire dal fatalismo. Per una pastorale del risanamento, Paoline, Milano, 1991. Anche sotto l'impulso della Legge 51/80 della Regione siciliana, non sono mancati i tentativi di approntare degli strumenti didattici attraverso cui tradurre per la pratica quotidiana delle scuole alcune informazioni essenziali ed alcuni criteri di orientamento valutativo. Purtroppo si tratta, quasi sempre, di materiali da apprezzare più per le intenzioni lodevoli che per il valore intrinseco. Un contributo pionieristico, difficilmente reperibile, è la raccolta di materiali curata dal CIDI, Mafia, camorra, 'ndrangheta, delinquenza organizzata: anzitutto conoscere, Ediesse, Roma, 1984. Sul lavoro nelle scuole siciliane cfr. G. Cipolla, Tradizione e innovazione nelle esperienze educative antimafia in AA.VV., L'antimafia difficile, cit., pp. 128-139. Probabilmente, per un approccio "didattico" rimangono insostituibili alcune opere letterarie con felici intuizioni sociologiche, quali Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia (Einaudi, Torino, 1961, successivamente riedito), in cui è colto lucidamente il passaggio dalla mafia agraria alla mafia contemporanea, con la doverosa avvertenza che proliferano, in questo ambito, anche romanzi apologetici di una fantomatica mafia "tradizionale", come Il padrino di M. Puzo (Mondadori, Milano, 1978). Particolarmente significativo il lavoro giornalistico e letterario di Giuseppe Fava, fondatore della rivista "I Siciliani", assassinato dalla mafia nel 1984. Fra i suoi scritti: Gente di rispetto, Bompiani, Milano, 1975; I siciliani, Cappelli, Bologna, 1980. In ordine ad una pedagogia e ad una didattica anti-mafia, non si può non tener conto di alcune ricerche di psicologia sociale. Segnaliamo: AA. VV. (a cura di A. M. Di Vita), Alle radici di un'immagine della mafia, F. Angeli, Milano, 1986, in cui sono pubblicati i materiali di una ricerca della Facoltà di Magistero di Palermo, ed AA. VV., L'immaginario mafioso. La rappresentazione sociale della mafia, Dedalo, Bari, 1986, indagine dell'Istituto di psicologia dell'Università di Palermo diretto da Gigliola Lo Cascio. Un interessante tentativo, di fare il punto sulla ricerca attuale e di aprire nuove prospettive, nel volume G. Casarrubea - P. Blandano, L'educazione mafiosa. Strutture sociali e processi di identità, Sellerio, Palermo, 1991.
Raccontare l'antimafia. Sulle lotte contadine, dai Fasci siciliani al secondo dopoguerra e sulle mobilitazioni e le iniziative degli ultimi anni si veda Umberto Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma, 2000. Non tradotti in italiano: Alison Jamieson, The Antimafia, Italy's Fight against Organized Crime, Macmillan Press, London, 2000; Jane Schneider and Peter Schneider, Reversibile Destiny. Mafia, Antimafia and the Struggle for Palermo, University of California Press, Berkley and Los Angeles, 2003.
Di che cosa ci stiamo occupando Può sembrare paradossale, ma una ricerca sulla mafia deve cominciare dalla focalizzazione precisa del tema: in questo caso, come in pochi altri, infatti, uno stesso termine è adoperato in significati disparati, talora contraddittori. La parola "mafia" ha insieme indicato: un comportamento e un modo di essere, cioè una mentalità e uno stato d'animo, e un dato di fatto, cioè l'associazione criminale; l'espressione del "senso dell'onore" e dell'"ipertrofia dell'io" di determinate popolazioni e la manifestazione della loro inferiorità razziale; un fenomeno locale e residuale e la "piovra" universale; l'effetto e la causa del sottosviluppo etc. etc. È evidente che l'indeterminazione pregiudica la riuscita dell'indagine, per cui si pone preliminarmente l'esigenza di individuare un'ipotesi definitoria. In un volume che raccoglie gli atti di una "giornata di bilancio e di riflessione", svoltasi l'8 maggio 1988 nel decimo anniversario dell'assassinio del militante Giuseppe Impastato, Umberto Santino, direttore del primo centro di documentazione e di studi sulla mafia sorto in Italia, propone la seguente definizione del fenomeno mafioso: Per quanto riguarda lo sviluppo storico del fenomeno, esso viene visto come un intreccio di continuità e trasformazione, qualcosa di più complesso delle classificazioni correnti, imperniate su nozioni approssimative come "mafia vecchia" e "mafia nuova". Santino individua quattro fasi: La mafia negli anni '60-'80 Sarebbe troppo impegnativo citare le fonti per una ricerca sulla mafia degli anni '60-'80, che non dovrebbe prescindere dai materiali pubblicati dalla Commissione parlamentari antimafia (1963-1976), voluminosi e difficilmente reperibili. Per gli anni più recenti ricordiamo solo, per l'accessibilità anche a docenti e studenti, il volume a cura di C. Staiano, Mafia. L'atto d'accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma, 1986, che pubblica stralci dell'ordinanza-sentenza istruttoria del primo maxi-processo di Palermo. Immediatamente fruibili, e coinvolgenti anche dal punto di vista psicologico, alcune "storie di vita" riguardanti personaggi femminili in rotta con il mondo mafioso e un ambiente popolare impregnato di mafiosità da cui provengono: F. Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, La Luna, Palermo, 1986; A. Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo, 1990. Nel primo testo viene intervistata la madre di Impastato, il militante siciliano che - avendo rinnegato la matrice mafiosa familiare - si dedica a iniziative politiche e culturali contro la mafia, finendo trucidato con una bomba ad opera di "notissimi ignoti". Nel secondo testo sono intervistate Michela Buscemi e Pietra Lo Verso, legate a vittime di violenza mafiosa, che - rompendo una secolare tradizione di omertà - si sono costituite parti civili in processi contro la mafia. Un'importante testimonianza è il volume di Nando Dalla Chiesa, Delitto imperfetto, Mondadori, Milano, 1984. Se passiamo dalle "fonti" alle interpretazioni critiche, troviamo molto materiale a livello divulgativo, ma molto poco a livello di ricerca empirica e di sintesi teorica. Per un orientamento nel vasto mondo della produzione giornalistica un'utile bussola è il volume G. Priulla (a cura di), Mafia e informazione, Liviana, Padova, 1987. Le poche ricerche che propongono modelli complessivi d'interpretazione teorica della mafia contemporanea sono quelle di F. Ferrarotti, P. Arlacchi, R. Catanzaro e U. Santino. Franco Ferrarotti, in Rapporto sulla mafia: da costume locale a problema dello sviluppo nazionale, Liguori, Napoli, 1978, pubblica i materiali di una ricerca commissionatagli dalla Commissione parlamentare antimafia. La mafia viene considerata come "fenomeno globale", nel senso che essa Il volume propone una bibliografia critica essenziale e contiene i risultati di una ricerca condotta, attraverso la somministrazione di un questionario, in città e comuni della Sicilia "nell'intento di mettere in luce la cultura delle popolazioni che vivono nelle zone mafiose, intesa come il costume e la mentalità media prevalente" (p. 141), e che ha riguardato anche l'evasione scolastica e l'atteggiamento delle famiglie verso l'istruzione. Pino Arlacchi, in La mafia imprenditrice. L'etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, il Mulino, Bologna, 1983, introduce una categoria interpretativa basata sull'impresa mafiosa, e sui suoi vantaggi economico-finanziari. La prima parte del volume .Nella seconda parte del volume si fa una rapida descrizione degli effetti della "grande trasformazione" post-bellica della società italiana e del Mezzogiorno sul potere e sul comportamento mafioso tradizionali, mentre la terza parte "è dedicata ad un tipo ideale della mafia e del mafioso dei nostri tempi". Negli anni '70 sarebbe nata la "mafia imprenditrice", la quale godrebbe di un "profitto monopolistico", frutto di una "innovazione" consistente nel "trasferimento del metodo mafioso nell'organizzazione aziendale del lavoro e nella conduzione degli affari esterni all'impresa". Secondo l'autore, Tuttavia, in un testo successivo, la grande criminalità meridionale, che da parassitaria sarebbe diventata produttiva, viene presentata come "uno degli ostacoli più importanti e più trascurati dello sviluppo economico italiano" (I costi economici della grande criminalità in AA.VV., L'impresa mafiosa entra nel mercato, F. Angeli, Milano, 1985, p. 29). Raimondo Catanzaro in Il delitto come impresa, Liviana, Padova 1988, Rizzoli, Milano, 1989, ha proposto un'interpretazione della mafia come frutto di un processo di "ibridazione sociale": Particolarmente significative le pagine dedicate al concetto di onore inteso come "concentrato di ricchezza, potere, prestigio e violenza" (p. 65); le considerazioni sulla violenza come "strumento di regolazione dell'economia" (pp. 71 e ss.) e le riflessioni sugli sviluppi del fenomeno mafioso negli ultimi anni, sia per ciò che riguarda le attività imprenditoriali sia per gli effetti di inquinamento del sistema politico. L'ipotesi di definizione della mafia come "borghesia mafiosa", concetto più ampio di quello di mafia come mera associazione criminale, elaborata da Umberto Santino, è stata verificata all'interno di ricerche empiriche pubblicate nei volumi: G. Chinnici - U. Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, F. Angeli, Milano, 1989 e U. Santino - G. La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, F. Angeli, Milano, 1990. Nel primo l'omicidio mafioso viene considerato come "omicidio-progetto", cioè come strumento per la risoluzione della concorrenza interna e della "gara egemonica" con soggetti esterni, che si inquadra in un programma complessivo delle organizzazioni criminose, con l'abbattimento degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del piano di arricchimento e di dominio. Nel secondo volume si formula l'ipotesi della "economia polimorfa" e del "mercato multidimensionale", in cui economia legale, sommersa e illegale presentano tipologie di rapporti (compenetrazione, convivenza, conflitto) ricavate dalle risultanze dell'indagine, condotta sugli accertamenti patrimoniali in attuazione della legge antimafia. Da tali accertamenti risulta che, tolti due grandi gruppi imprenditoriali, individuati in Lombardia e in Sicilia, le altre realtà imprenditoriali sottoposte a sequestro e confisca hanno principalmente funzione di copertura e di riciclaggio del capitale accumulato illecitamente, per cui sarebbe confermata l'ipotesi di lettura della mafia attuale soprattutto come "mafia finanziaria". I libri sinora citati mirano, essenzialmente, a decifrare il fenomeno "mafia" da un punto di vista storico, sociologico, economico e politico. Sarebbe interessante, almeno per degli educatori, avere a disposizione anche del materiale per elaborare una "pedagogia" dell'antimafia: ma, purtroppo, su questo versante, siamo ancora a contributi sporadici sotto forma di articoli. D'altra parte è ovvio che, se non si vuole cedere agli slogans, un'azione pedagogica efficace ha senso solo se inserita in un progetto culturale, etico, sociale e politico tendente a fare delle popolazioni meridionali i protagonisti del proprio riscatto. Con limiti ed ambiguità, la chiesa cattolica è tra le pochissime agenzie educative che ha cercato di offrire elementi in questo senso: per farsi un'idea di tale impegno può consultarsi il recente volume di A. Chillura, Coscienza di chiesa e fenomeno mafia, Augustinus, Palermo, 1990, che raccoglie gli interventi delle chiese siciliane, sia a livello di vertici che di base. Alcuni degli esperimenti più interessanti nell'elaborazione di strategie pedagogiche alternative sono il frutto della convergenza di soggettività e culture diverse, come è testimoniato, per esempio, nei recenti volumi di A. Cavadi, Fare teologia a Palermo. Intervista a don Cosimo Scordato sulla "teologia del risanamento" e sull'esperienza del Centro sociale "San Francesco Saverio" all'Albergheria, Augustinus, Palermo, 1990 e di Cosimo Scordato, Uscire dal fatalismo. Per una pastorale del risanamento, Paoline, Milano, 1991. Anche sotto l'impulso della Legge 51/80 della Regione siciliana, non sono mancati i tentativi di approntare degli strumenti didattici attraverso cui tradurre per la pratica quotidiana delle scuole alcune informazioni essenziali ed alcuni criteri di orientamento valutativo. Purtroppo si tratta, quasi sempre, di materiali da apprezzare più per le intenzioni lodevoli che per il valore intrinseco. Un contributo pionieristico, difficilmente reperibile, è la raccolta di materiali curata dal CIDI, Mafia, camorra, 'ndrangheta, delinquenza organizzata: anzitutto conoscere, Ediesse, Roma, 1984. Sul lavoro nelle scuole siciliane cfr. G. Cipolla, Tradizione e innovazione nelle esperienze educative antimafia in AA.VV., L'antimafia difficile, cit., pp. 128-139. Probabilmente, per un approccio "didattico" rimangono insostituibili alcune opere letterarie con felici intuizioni sociologiche, quali Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia (Einaudi, Torino, 1961, successivamente riedito), in cui è colto lucidamente il passaggio dalla mafia agraria alla mafia contemporanea, con la doverosa avvertenza che proliferano, in questo ambito, anche romanzi apologetici di una fantomatica mafia "tradizionale", come Il padrino di M. Puzo (Mondadori, Milano, 1978). Particolarmente significativo il lavoro giornalistico e letterario di Giuseppe Fava, fondatore della rivista "I Siciliani", assassinato dalla mafia nel 1984. Fra i suoi scritti: Gente di rispetto, Bompiani, Milano, 1975; I siciliani, Cappelli, Bologna, 1980. In ordine ad una pedagogia e ad una didattica anti-mafia, non si può non tener conto di alcune ricerche di psicologia sociale. Segnaliamo: AA. VV. (a cura di A. M. Di Vita), Alle radici di un'immagine della mafia, F. Angeli, Milano, 1986, in cui sono pubblicati i materiali di una ricerca della Facoltà di Magistero di Palermo, ed AA. VV., L'immaginario mafioso. La rappresentazione sociale della mafia, Dedalo, Bari, 1986, indagine dell'Istituto di psicologia dell'Università di Palermo diretto da Gigliola Lo Cascio. Un interessante tentativo, di fare il punto sulla ricerca attuale e di aprire nuove prospettive, nel volume G. Casarrubea - P. Blandano, L'educazione mafiosa. Strutture sociali e processi di identità, Sellerio, Palermo, 1991.
Raccontare l'antimafia. Sulle lotte contadine, dai Fasci siciliani al secondo dopoguerra e sulle mobilitazioni e le iniziative degli ultimi anni si veda Umberto Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma, 2000. Non tradotti in italiano: Alison Jamieson, The Antimafia, Italy's Fight against Organized Crime, Macmillan Press, London, 2000; Jane Schneider and Peter Schneider, Reversibile Destiny. Mafia, Antimafia and the Struggle for Palermo, University of California Press, Berkley and Los Angeles, 2003.
La mafia in Puglia
Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità
Dal 1994, anno della sua costituzione, ad oggi l'Ufficio Ambiente e Legalità ha svolto una continua attività di analisi, denuncia e informazione sulle illegalità ambientali avvenute in Italia, con particolare attenzione al fenomeno dell'Ecomafia. Il termine, coniato da Legambiente ed entrato recentemente nel vocabolario Zingarelli, indica, com'è noto, quei settori della criminalità organizzata che hanno scelto il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l'abusivismo edilizio e le attività di escavazione come nuovo grande business. Il fenomeno, oggetto di molti dossier elaborati dall'Ufficio, viene affrontato dal 1997 in modo sistematico nell'annuale "Rapporto Ecomafia".
Nei Centri di Azione Giuridica prestano la loro opera avvocati, magistrati e giuristi impegnati in difesa del "popolo inquinato". Protagonisti di grandi battaglie giudiziarie contro l'inquinamento e le aggressioni all'ambiente, i Centri svolgono attività di ricerca e proposta di nuove normative e sono a disposizione per fornire informazioni ai cittadini in lotta per un ambiente più sano e pulito.
Partendo dalle esperienze accumulate in questi anni dalle due strutture di Legambiente, è nata l'idea dell'Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità: una struttura di lavoro e una "rete" che si mette al servizio dei cittadini e dei professionisti del settore con un'aggiornata banca dati delle sentenze in materia ambientale, la principale normativa in campo ambientale con le novità legislative e i commenti, la possibilità di trasmettere segnalazioni di fenomeni di illegalità ambientale e così via.
Contromafie per libertà, cittadinanza, legalità, giustizia, solidarietà
CONTRO la mafia, contro tutte le mafie, contro la corruzione politica e gli intrecci clientelari che alimentano gli affari delle organizzazioni criminali e il malcostume, PER costruire, invece, percorsi di libertà, cittadinanza, legalità, giustizia, solidarietà che, a partire dal valore fondamentale della dignità di ogni essere umano, siano il più valido antidoto al proliferare della violenza e della sopraffazione mafiosa. Il messaggio degli Stati generali è duplice, inevitabilmente negativo (CONTRO) ma soprattutto positivo (PER): per mostrare quanto è stato realizzato sul versante civile e istituzionale nel combattere le mafie e le loro protezioni e, nel contempo, per elaborare e mettere a disposizione di tutti una serie di proposte che, a partire dalle riflessioni sui sei grandi temi di riferimento (libertà, cittadinanza, informazione, legalità, giustizia, solidarietà), possano costituire occasione di lavoro per i diversi soggetti, istituzionali e non, chiamati a partecipare. Ciascuna delle sei aree tematiche, è suddivisa in gruppi di lavoro, dai quali dovranno emergere le idee e le proposte per costruire i documenti finali. Legambiente curerà in particolare il gruppo di lavoro dedicato alle ecomafie all’interno dell’area “Per un’economia di solidarietà”.
Sporcarsi le mani per fare il bene comune
In Puglia dal 17 al 27 luglio 8 studenti delle scuole in lingua italiana hanno partecipato ai campi di volontariato organizzati da”. Nell’ambito del progetto Libera Terra, che realizza agricoltura biologica sui terreni confiscati alle mafie, ogni estate, molti ragazzi partecipano ai campi di volontariato. Quest’anno anche alcuni studenti delle superiori di Bolzano (geometri, classico, ragioneria) coordinati dalla referente della Sovrintendente per la consulta si sono mossi alla volta di Mesagne in Puglia per vivere un’esperienza di vacanza diversa. L’obbiettivo dell’esperienza è diffondere una cultura fondata sulla legalità e sul senso civico, che possa efficacemente contrapporsi alla cultura del privilegio e del riscatto che contraddistingue i fenomeni mafiosi nel nostro Paese. Dove la mafia, in Puglia la
Il vino dell’antimafia a Palermo.
Sacra Corona Unita, ha spadroneggiato è possibile ricostruire una realtà sociale ed economica fondata sulla legalità e sul rispetto della persona umana e dell’ambiente. Sui terreni confiscati e dati in gestione a cooperative sociali a Mesagne si è formata la cooperativa “Terre di Puglia - Libera Terra” formata da un gruppo di giovani del luogo che hanno iniziato a coltivare pomodori, grano e vigneti. Il raccolto è destinato poi alla produzione di tarallini, friselline, conserve, confetture e vino con il marchio Libera Terra. I prodotti nel loro cammino, dal campo alla tavola, seguono la via della legalità passando da aziende che nella lavorazione garantiscono un percorso all’insegna del rispetto della legge. Oltre ai soci, nelle cooperative lavorano operai in “regola” ed altri volontari che come noi intendono vivere un’esperienza particolare di solidarietà per approfondire realtà diverse dalle proprie. Lavorare stanca ma rende felici, sereni, in pace con se stessi. Questo abbiamo portato a casa per il nostro spirito, difficile da far capire a chi crede nell’estate come momento del riposo, dello svago, dell’incontro e del far niente. Anche noi ci siamo riposati, divertiti, abbiamo incontrato persone ma abbiamo anche dato una mano con il nostro lavoro a portare avanti la voglia di riscatto che è tanto cara a coloro che decidono di mettersi in gioco perché le cose possano cambiare, a vantaggio di una terra che amano e che merita di essere amata. Le realtà sono diverse sia di territorio che di esperienze umane. Ogni incontro lascia il segno: molte sono le persone che nel nostro soggiorno in Puglia, sia sui campi che in paese, abbiamo incontrato, ci siamo scambiati confidenze, ci siamo ascoltati, ci siamo conosciuti ci siamo lasciati con tanta voglia di ricominciare, di rivederci, di risentirci. Le giornate iniziavano presto, alle 5 già sui campi a raccogliere pomodori, lavoro con “5 raccoglitrici” fino alle 11.30, lavoro, lavoro sodo, per le nostre schiene e mani poco abituate, ma volonterose di imparare velocemente e rendersi utili. Ognuno ha fatto in proporzione alle proprie capacità, chi raccoglieva pomodori, chi trasportava casse dal campo al trattore, chi caricava le casse sul trattore chi, poi, le scaricava nell’azienda che si occupava della lavorazione. I nostri pomodori, li sentiamo un po’ anche nostri, sono stati essiccati al sole e poi messi sott’olio, il grano biologico, che abbiamo in parte insaccato, è stato portato al mulino per essere macinato e produrre farina per i taralli. Nei vigneti c’è chi ha fatto la guardia ad un generatore perché non venisse “rubato”, ottima opportunità di riposo per due dei nostri particolarmente stanchi non solo per il lavoro ma anche per le ore piccole passate a chiacchiere o in giro per il paese.Particolare: la cucina era frutto della nostra fantasia e della nostra buona volontà, nessuno è dimagrito o si è lamentato.Ora siamo a casa, nella nostra realtà, vogliamo dare testimonianza di come si possa passare una vacanza diversa impegnandosi nel sociale, dando un contributo ad iniziative che vogliono con tutte le loro forze far cambiare le cose, far cambiare il paese. Il nostro impegno deve essere la diffusione di una mentalità della legalità, della solidarietà, della testimonianza con la nostra presenza che siamo in tanti anche al Nord dell’Italia che crediamo nella possibilità che le cose possano cambiare con l’impegno, con la partecipazione attiva in prima persona. Per quello che noi sappiamo nella nostra provincia è la prima volta che un gruppo di studenti ha vissuto un esperienza come questa. Un particolare ringraziamento va alla Fondazione Cassa di Risparmio che venuta alla conoscenza del progetto lo ha sostenuto con il suo contributo.
Sacra Corona Unita
E' stata battezzata la quarta mafia e, secondo alcuni dati resi noti dall'Osservatorio sui fenomeni criminali dell'Eurispes, conta 47 clan e 1561 affiliati. È un'organizzazione minore rispetto alle altre mafie, per presenza sul territorio e per giro d'affari. Quasi tutti i suoi capi conosciuti sono stati arrestati.Fu Raffaele Cutolo ad allungarsi per primo sulla Puglia i tentacoli della Nuova Camorra Organizzata.
Nacque nel 1981 quando il boss napoletano affida a Pino Iannelli e Alessandro Fusco l'incarico di dare vita ad una organizzazione chiamata Nuova Camorra Pugliese. Poco più tardi arriva lo sganciamento dalla camorra. Prendono corpo così le prime organizzazioni mafiose pugliesi : la Sacra Corona Unita nel Salento e La Rosa a Bari. La Sacra Corona Unita viene fondata da Giuseppe Rogoli nel carcere di Lecce la notte di Natale del 1983. Rogoli, di Mesagne, condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio del titolare di una tabaccheria di Giovinazzo, in provincia di Bari, era stato iniziato alla 'ndrangheta nel carcere di Porto Azzurro da un esponente di primo piano della mafia calabrese, Umberto Bellocco, di Rosarno.
Dal 1994, anno della sua costituzione, ad oggi l'Ufficio Ambiente e Legalità ha svolto una continua attività di analisi, denuncia e informazione sulle illegalità ambientali avvenute in Italia, con particolare attenzione al fenomeno dell'Ecomafia. Il termine, coniato da Legambiente ed entrato recentemente nel vocabolario Zingarelli, indica, com'è noto, quei settori della criminalità organizzata che hanno scelto il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l'abusivismo edilizio e le attività di escavazione come nuovo grande business. Il fenomeno, oggetto di molti dossier elaborati dall'Ufficio, viene affrontato dal 1997 in modo sistematico nell'annuale "Rapporto Ecomafia".
Nei Centri di Azione Giuridica prestano la loro opera avvocati, magistrati e giuristi impegnati in difesa del "popolo inquinato". Protagonisti di grandi battaglie giudiziarie contro l'inquinamento e le aggressioni all'ambiente, i Centri svolgono attività di ricerca e proposta di nuove normative e sono a disposizione per fornire informazioni ai cittadini in lotta per un ambiente più sano e pulito.
Partendo dalle esperienze accumulate in questi anni dalle due strutture di Legambiente, è nata l'idea dell'Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità: una struttura di lavoro e una "rete" che si mette al servizio dei cittadini e dei professionisti del settore con un'aggiornata banca dati delle sentenze in materia ambientale, la principale normativa in campo ambientale con le novità legislative e i commenti, la possibilità di trasmettere segnalazioni di fenomeni di illegalità ambientale e così via.
Contromafie per libertà, cittadinanza, legalità, giustizia, solidarietà
CONTRO la mafia, contro tutte le mafie, contro la corruzione politica e gli intrecci clientelari che alimentano gli affari delle organizzazioni criminali e il malcostume, PER costruire, invece, percorsi di libertà, cittadinanza, legalità, giustizia, solidarietà che, a partire dal valore fondamentale della dignità di ogni essere umano, siano il più valido antidoto al proliferare della violenza e della sopraffazione mafiosa. Il messaggio degli Stati generali è duplice, inevitabilmente negativo (CONTRO) ma soprattutto positivo (PER): per mostrare quanto è stato realizzato sul versante civile e istituzionale nel combattere le mafie e le loro protezioni e, nel contempo, per elaborare e mettere a disposizione di tutti una serie di proposte che, a partire dalle riflessioni sui sei grandi temi di riferimento (libertà, cittadinanza, informazione, legalità, giustizia, solidarietà), possano costituire occasione di lavoro per i diversi soggetti, istituzionali e non, chiamati a partecipare. Ciascuna delle sei aree tematiche, è suddivisa in gruppi di lavoro, dai quali dovranno emergere le idee e le proposte per costruire i documenti finali. Legambiente curerà in particolare il gruppo di lavoro dedicato alle ecomafie all’interno dell’area “Per un’economia di solidarietà”.
Sporcarsi le mani per fare il bene comune
In Puglia dal 17 al 27 luglio 8 studenti delle scuole in lingua italiana hanno partecipato ai campi di volontariato organizzati da”. Nell’ambito del progetto Libera Terra, che realizza agricoltura biologica sui terreni confiscati alle mafie, ogni estate, molti ragazzi partecipano ai campi di volontariato. Quest’anno anche alcuni studenti delle superiori di Bolzano (geometri, classico, ragioneria) coordinati dalla referente della Sovrintendente per la consulta si sono mossi alla volta di Mesagne in Puglia per vivere un’esperienza di vacanza diversa. L’obbiettivo dell’esperienza è diffondere una cultura fondata sulla legalità e sul senso civico, che possa efficacemente contrapporsi alla cultura del privilegio e del riscatto che contraddistingue i fenomeni mafiosi nel nostro Paese. Dove la mafia, in Puglia la
Il vino dell’antimafia a Palermo.
Sacra Corona Unita, ha spadroneggiato è possibile ricostruire una realtà sociale ed economica fondata sulla legalità e sul rispetto della persona umana e dell’ambiente. Sui terreni confiscati e dati in gestione a cooperative sociali a Mesagne si è formata la cooperativa “Terre di Puglia - Libera Terra” formata da un gruppo di giovani del luogo che hanno iniziato a coltivare pomodori, grano e vigneti. Il raccolto è destinato poi alla produzione di tarallini, friselline, conserve, confetture e vino con il marchio Libera Terra. I prodotti nel loro cammino, dal campo alla tavola, seguono la via della legalità passando da aziende che nella lavorazione garantiscono un percorso all’insegna del rispetto della legge. Oltre ai soci, nelle cooperative lavorano operai in “regola” ed altri volontari che come noi intendono vivere un’esperienza particolare di solidarietà per approfondire realtà diverse dalle proprie. Lavorare stanca ma rende felici, sereni, in pace con se stessi. Questo abbiamo portato a casa per il nostro spirito, difficile da far capire a chi crede nell’estate come momento del riposo, dello svago, dell’incontro e del far niente. Anche noi ci siamo riposati, divertiti, abbiamo incontrato persone ma abbiamo anche dato una mano con il nostro lavoro a portare avanti la voglia di riscatto che è tanto cara a coloro che decidono di mettersi in gioco perché le cose possano cambiare, a vantaggio di una terra che amano e che merita di essere amata. Le realtà sono diverse sia di territorio che di esperienze umane. Ogni incontro lascia il segno: molte sono le persone che nel nostro soggiorno in Puglia, sia sui campi che in paese, abbiamo incontrato, ci siamo scambiati confidenze, ci siamo ascoltati, ci siamo conosciuti ci siamo lasciati con tanta voglia di ricominciare, di rivederci, di risentirci. Le giornate iniziavano presto, alle 5 già sui campi a raccogliere pomodori, lavoro con “5 raccoglitrici” fino alle 11.30, lavoro, lavoro sodo, per le nostre schiene e mani poco abituate, ma volonterose di imparare velocemente e rendersi utili. Ognuno ha fatto in proporzione alle proprie capacità, chi raccoglieva pomodori, chi trasportava casse dal campo al trattore, chi caricava le casse sul trattore chi, poi, le scaricava nell’azienda che si occupava della lavorazione. I nostri pomodori, li sentiamo un po’ anche nostri, sono stati essiccati al sole e poi messi sott’olio, il grano biologico, che abbiamo in parte insaccato, è stato portato al mulino per essere macinato e produrre farina per i taralli. Nei vigneti c’è chi ha fatto la guardia ad un generatore perché non venisse “rubato”, ottima opportunità di riposo per due dei nostri particolarmente stanchi non solo per il lavoro ma anche per le ore piccole passate a chiacchiere o in giro per il paese.Particolare: la cucina era frutto della nostra fantasia e della nostra buona volontà, nessuno è dimagrito o si è lamentato.Ora siamo a casa, nella nostra realtà, vogliamo dare testimonianza di come si possa passare una vacanza diversa impegnandosi nel sociale, dando un contributo ad iniziative che vogliono con tutte le loro forze far cambiare le cose, far cambiare il paese. Il nostro impegno deve essere la diffusione di una mentalità della legalità, della solidarietà, della testimonianza con la nostra presenza che siamo in tanti anche al Nord dell’Italia che crediamo nella possibilità che le cose possano cambiare con l’impegno, con la partecipazione attiva in prima persona. Per quello che noi sappiamo nella nostra provincia è la prima volta che un gruppo di studenti ha vissuto un esperienza come questa. Un particolare ringraziamento va alla Fondazione Cassa di Risparmio che venuta alla conoscenza del progetto lo ha sostenuto con il suo contributo.
Sacra Corona Unita
E' stata battezzata la quarta mafia e, secondo alcuni dati resi noti dall'Osservatorio sui fenomeni criminali dell'Eurispes, conta 47 clan e 1561 affiliati. È un'organizzazione minore rispetto alle altre mafie, per presenza sul territorio e per giro d'affari. Quasi tutti i suoi capi conosciuti sono stati arrestati.Fu Raffaele Cutolo ad allungarsi per primo sulla Puglia i tentacoli della Nuova Camorra Organizzata.
Nacque nel 1981 quando il boss napoletano affida a Pino Iannelli e Alessandro Fusco l'incarico di dare vita ad una organizzazione chiamata Nuova Camorra Pugliese. Poco più tardi arriva lo sganciamento dalla camorra. Prendono corpo così le prime organizzazioni mafiose pugliesi : la Sacra Corona Unita nel Salento e La Rosa a Bari. La Sacra Corona Unita viene fondata da Giuseppe Rogoli nel carcere di Lecce la notte di Natale del 1983. Rogoli, di Mesagne, condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio del titolare di una tabaccheria di Giovinazzo, in provincia di Bari, era stato iniziato alla 'ndrangheta nel carcere di Porto Azzurro da un esponente di primo piano della mafia calabrese, Umberto Bellocco, di Rosarno.

Antonino Caponnetto
Si trasferì da giovanissimo dalla natìa Sicilia a Firenze, ove si laureò in giurisprudenza. Entrato in magistratura nel 1954, la sua carriera ebbe una svolta nel 1983 quando ottenne il trasferimento a Palermo, successivamente all'uccisione di Rocco Chinnici capo dell'Ufficio istruzione di Palermo. Seguendo la strategia studiata da Giancarlo Caselli per la lotta al terrorismo, realizzò un gruppo di magistrati con il compito di occuparsi a tempo pieno solo della lotta alla mafia. Il pool, che vide la partecipazione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, istruì il primo grande processo contro la mafia e si servì delle dichiarazione di pentiti come Tommaso Buscetta.
Concluse la sua carriera nel 1990 e dovette assistere alla morte prima di Falcone e poco dopo di Borsellino, assassinati dalla mafia (straziante il suo commento alle telecamere subito dopo la Strage di via d'Amelio: «È finito tutto!»). Da allora, finché poté, si dedicò in un'opera di testimonianza contro l'illegalità. Nel 1993 fu candidato per la Rete all'elezioni amministrative di Palermo, divenendo così presidente del consiglio comunale.
Cittadino onorario di Palermo e Catania, presidente del consiglio comunale del capoluogo siciliano per un breve periodo, per tre volte è stato candidato a senatore a vita con raccolte di firme. A fargli gli auguri per i suoi 80 anni, fu anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Gli è stata recentemente intitolata la nuova mensa del Polo delle Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Firenze.
Si trasferì da giovanissimo dalla natìa Sicilia a Firenze, ove si laureò in giurisprudenza. Entrato in magistratura nel 1954, la sua carriera ebbe una svolta nel 1983 quando ottenne il trasferimento a Palermo, successivamente all'uccisione di Rocco Chinnici capo dell'Ufficio istruzione di Palermo. Seguendo la strategia studiata da Giancarlo Caselli per la lotta al terrorismo, realizzò un gruppo di magistrati con il compito di occuparsi a tempo pieno solo della lotta alla mafia. Il pool, che vide la partecipazione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta, istruì il primo grande processo contro la mafia e si servì delle dichiarazione di pentiti come Tommaso Buscetta.
Concluse la sua carriera nel 1990 e dovette assistere alla morte prima di Falcone e poco dopo di Borsellino, assassinati dalla mafia (straziante il suo commento alle telecamere subito dopo la Strage di via d'Amelio: «È finito tutto!»). Da allora, finché poté, si dedicò in un'opera di testimonianza contro l'illegalità. Nel 1993 fu candidato per la Rete all'elezioni amministrative di Palermo, divenendo così presidente del consiglio comunale.
Cittadino onorario di Palermo e Catania, presidente del consiglio comunale del capoluogo siciliano per un breve periodo, per tre volte è stato candidato a senatore a vita con raccolte di firme. A fargli gli auguri per i suoi 80 anni, fu anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Gli è stata recentemente intitolata la nuova mensa del Polo delle Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Firenze.
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